Cene della Legalità: Intervista a Filippo Cogliandro
Cristina Vannuzzi intervista Filippo Cogliandro, riguardo l’importante evento delle cene della legalità
Cene della legalità: di che si tratta e qual è lo scopo ?
Già dal 2011 l’ex Presidente del Senato Pietro Grasso aveva stimato un volume di affari nel mondo del food di un miliardo di euro e non c’è motivo per non ritenere che questa cifra non sia aumentata in modo esponenziale.
Il progetto de Le Cene della Legalità, nasce a Firenze a seguito di una intervista con Cristina Vannuzzi, nato per raccontare la mia esperienza, un periodo buio della mia vita che mi fa fatto capire che “il silenzio uccide” e ho voluto far conoscere attraverso la cucina la mia terra, il mio dolore, le mie paure, il sostegno e l’amicizia con Don Luigi Ciotti, la mia grande brigata, il mio lavoro ed infine la solidarietà ricevuta, uno status che mi ha dato il coraggio di una scelta entusiasmante: “la denuncia come investimento per il proprio futuro”, al punto che ho spostato la mia attività di ristorazione da Lazzaro al centro storico della città di Reggio Calabria, oggi “Le Cene della Legalità” sono diventate un riferimento reale in tutta Italia, in Europa e in giro per il mondo.
Lei è calabrese: che rapporto ha con la sua regione e soprattutto con la sua cultura e mentalità?
Il mondo del food vuole “ gustare un territorio” attraverso i prodotti, i sapori, i profumi ed i suoi colori, per questo, noi cuochi calabresi, dobbiamo imparare a comunicare ed essere ambasciatori del nostro territorio.
Purtroppo la Calabria è un territorio “fuori mano”, è fuori dai percorsi che fanno i critici e i giornalisti del food, che viaggiano e vanno in regioni facilmente appetibili.
Il settore enogastronomico in Calabria è come un solista, ha bisogno di un’orchestra per fare rete, unire piccoli e grandi produttori, i loro consorzi, organizzandosi e creando una comunicazione efficace sulla straordinaria qualità e varietà e direi anche esclusività (il bergamotto di Reggio Calabria) dei prodotti calabresi. In questo momento la Calabria ha bisogno di professionalità che dirottino la comunicazione su argomenti diversi: non si può solo parlare di ‘ndrangheta, è arrivato il momento di parlare di arte, cultura, storia e cucina e combattere la mentalità gretta e retrograda attraverso tali argomentazioni.
Lei crede che il sud sia stato abbandonato a se stesso dai governi degli ultimi anni, o vede altre responsabilità dietro il declino di alcune parti del meridione?
Penso che il Sud sia “solo”, povero di strade, di vie di comunicazione, di viabilità; l’autostrada Salerno – Reggio Calabria inaugurata da poco ma iniziata decenni fa è piena di scandali, truffe, arresti, e i governi che si sono succeduti hanno lasciato questa immagine delle nostre vie di comunicazione, attraverso disservizi, mancanze di treni, la chiusura dell’aeroporto di Crotone e la paventata chiusura definitiva dell’aeroporto di Reggio Calabria, riferimento di identità di una città metropolitana in forte espansione. Il Sud è utile solo a far emanare proclami per interventi straordinari, a scopo elettorale, che non arrivano mai e quando arrivano non raggiungono l’obiettivo previsto.
Lei ha ricevuto un premio intitolato a Borsellino nel 2016: l’eredità del giudice che fine ha fatto?
Parlare di questo premio ancora mi emoziona e suscita in me anche un certo imbarazzo per il significato profondo che oggi mi lega ai magistrati Borsellino e Falcone pur se con professionalità diverse: loro lottavano le mafie attraverso il Diritto, io, attraverso il mio modo di fare cucina e impresa, evidenzio il “problema ‘ndrangheta” in una città martoriata come Reggio Calabria.
Se fosse ancora vivo che cosa penserebbe dei risultati ottenuti nella lotta alla criminalità organizzata?
Secondo me direbbe: “Finalmente si è presa coscienza reale del fenomeno mafioso-ndranghetista, finalmente si è riusciti a capire e comprendere il rapporto mafia-politica, finalmente le leggi emanate dallo Stato permettono una più incisiva attività investigativa che porta a risultati davvero straordinari. Ora tocca al Diritto!!!”
Oggi a Reggio Calabria c’è una straordinaria collaborazione tra le varie forze dell’ordine e la Procura; posso affermare che i successi ottenuti in questo ambito sono dovuti ad una perfetta macchina investigativa in sinergia tra Prefettura, Procura della Repubblica e tutte le forze dell’Ordine e direi anche una presa di coscienza del cittadino, ormai stanco di subire.
E ora una domanda più inerente al suo lavoro: che rapporto c’è tra cucina e impegno sociale?
Ho sempre pensato che la cucina, il cibo, siano una delle forme di aggregazione più utilizzata dal genere umano. La tavola è sempre stata e lo è ancora il luogo dove sono state prese grandi decisioni e trattati argomenti di ogni genere.
Come i “cattivi” si riuniscono attorno ad essa per decidere il “male ed l’ingiustizia”, così anche i “buoni” possono decidere il “bene ed il giusto”.
Attraverso la mia professione ho scelto di parlare di legalità, di raccontare la mia storia ai ragazzi delle scuole a cui dedico del tempo in occasione delle mie Cene della Legalità.
Infatti una sezione importante della mia attività di impegno sociale è dedicata alle scuole, in maniera particolare agli istituti alberghieri. Quando mi contattano, corro subito. La mia cucina diventa il pretesto per far parlare i miei piatti attraverso le materie prime della mia terra, una terra generosa, che insegna l’armonia della cucina, il bello, il buono, i valori, le tradizioni, la storia di un popolo.
Reggio Calabria mette a disposizione la sua arte, la sua natura, l’integrazione e l’enogastronomia diventa la base per poterne parlare. Adesso la mia brigata si è allargata con la presenza di ragazzi extracomunitari, sbarcati sulle nostre coste, affidati dal Tribunale alla mia famiglia ed oggi diventati collaboratori di cucina, umili, talentuosi, desiderosi di imparare ed è così che la mia cucina diventa il pretesto per insegnare.
Quanto la sua creatività è influenzata dalla sua sensibilità?
A volte io dico “chef per caso” perché, come diceva Guy De Maupassant “solo gli imbecilli non sono ghiotti…si è ghiotti come poeti, si è ghiotti come artisti” ed io volevo essere un artista, ma evidentemente non avevo l’ispirazione ed oggi mi posso definire un uomo “libero” con la passione della cucina.
La mia cucina è il mio mare, la mia terra, i ricordi, la mia vita.
Sono convinto che la mia cucina è un insieme armonioso di emozioni e ricordi, volontà e creatività, passione e sacrificio, un lavoro che scegli, un lavoro che ti sceglie…
Cristina Vannuzzi