LA SCRITTRICE GIULIA FAGIOLINO RACCONTA DI SÉ E DELLE EMOZIONI DI CUI INTRIDE I SUOI ROMANZI

 

Reduce dalla vittoria di quattro premi letterari internazionali e dall’uscita del romanzo d’esordio “Quel Giorno” con Capponi Editore nel giugno 2018, la scrittrice Giulia Fagiolino torna sul mercato editoriale con l’opera “In un battito d’ali” edito da L’Erudita, Giulio Perrone editore.

Giulia, come è nato questo libro e, senza spoilerare, a chi dà voce?

Il libro è nato nel corso degli anni, quando ascoltavo i racconti di fatti accaduti alla mia famiglia durante la Seconda Guerra Mondiale. Ho preso liberamente spunto da questi episodi accaduti in varie zone della Toscana e in Umbria, poi ho romanzato il tutto dando libero sfogo alla fantasia. Il romanzo è stato ambientato sotto la Linea Gotica perché mio nonno materno era di una zona vicino a Pontassieve (Castelfosso nel libro, nome di fantasia). In quei luoghi era molto forte la lotta partigiana e sono avvenuti molti eccidi, rappresaglie, occupazioni di case da parte dei tedeschi. Alcuni personaggi, quindi, sono realmente esistiti.

Troviamo qualcosa di autobiografico nella storia che racconti?

Il libro, proprio per l’ambientazione storica e i fatti che riporto, ovviamente non è autobiografico. Ritrovo però qualcosa di me in Ginevra, nella testardaggine e nel prendere le cose di punta. Ginevra è comunque una ragazzina, ovviamente prende le decisioni con l’incoscienza tipica della sua giovane età, come quando decide di rischiare la propria vita per amore, io a tanto non mi sarei mai spinta.

Come si coniuga la professione di avvocato che svolgi quotidianamente con l’attività di scrittura?

Nel lavoro di avvocato serve molto scrivere, perché devono essere redatti atti, memorie. È quindi fondamentale saper scrivere bene e avere una logica nella sequenza dei fatti. Viene da sé che le due attività mi si conciliano perfettamente, poi per me scrivere è un hobby, non lo vedo come qualcosa di faticoso, ma anzi uno “scarica stress”.

Tra il primo e il secondo romanzo Giulia è in qualche modo cambiata come persona e come penna oppure non scorgi alcuna evoluzione in te stessa e nel tuo stile?

Certamente, il primo romanzo ho provato prima ad abbozzarlo poi a fare la stesura definitiva senza alcuna aspettativa. Ho visto che è andato bene, allora ho deciso di scrivere un secondo romanzo con la consapevolezza di volerlo far leggere e conoscere agli altri e mi sono voluta mettere alla prova. “In un battito d’ali”, infatti, è un romanzo famigliare storico. Ho dovuto fare attività di ricerca sia a livello locale che nazionale, nonché culturale per capire come vivevano nelle campagne toscane negli anni ’30 e ‘40, con le loro credenze, i loro usi. È poi un romanzo corale in cui, a differenza del primo che aveva un’unica protagonista, qui ce ne sono molti e hanno ognuno la loro storia, le loro emozioni, vite che si intrecciano tra di loro. Ed il difficile è stato proprio questo, è un romanzo molto più elaborato e costruttivo rispetto al primo.

È un romanzo storico e corale, ma riesci comunque a raccontare l’intimità, le speranze e le miserie di un pezzo di storia d’Italia in un susseguirsi di eventi ed emozioni. Come sei riuscita a coniugare la pluralità di voci alla sfera più intima e individuale dei personaggi?

Quando scrivo, la domanda numero uno che mi pongo è “cosa farei io al suo posto?” Quindi per ogni personaggio cerco di calarmi nella parte e capire ciò che prova per renderlo il più veritiero possibile. Non a caso nei miei romanzi sono centrali le emozioni e i lati introspettivi, altrimenti sarebbe una storia solo di superficie. Ovviamente, ci sono dei personaggi che sono realmente esistiti, che ho conosciuto o di cui quantomeno ho sentito parlare ed ho cercato il più possibile di renderli fedeli ai racconti fattomi.

Infine, c’è un personaggio che ti è particolarmente caro? Se sì, perché?

Beh sì, accennavo prima a Ginevra che in mezzo a tanta desolazione e sconforto è disposta a lasciarsi andare per amore e a lottare, indubbiamente anche il personaggio di Agnese è molto forte. La sua storia è quella della mia bisnonna paterna, anche lei cresciuta in orfanatrofio. Per il carattere ed il suo modo di vivere assai passionale, ho pensato, però, alla mia nonna materna, anche lei molto apprensiva ed accorata con i figli. Ovviamente il personaggio di Agnese mi ha anche un po’ provato mentre lo scrivevo, perché mi immedesimavo nella sofferenza di una madre che non ha più notizie del figlio andato in guerra appena ventenne. La parte che più mi ha emozionato è quando leggeva le sue lettere provenienti dal fronte russo. Capiva che il figlio stava male, stava soffrendo, ma non poteva aiutarlo e si sentiva impotente, inerme di fronte al destino.

Di Francesca Ghezzani