La solitudine dell’individuo nel nuovo mondo
Sulla solitudine e sul riconnettersi in un nuovo concetto di società nell’iper-connessa e iper-tecnologica attuale “era digitale”
“Death Stranding” videogioco della ‘Kojima Productions’ del famoso autore videoludico ‘Hideo Kojima’, distribuito su piattaforme varie tra cui ‘PC/Microsoft Windows’ e ‘PlayStation 4/5’ è uscito agli albori della pandemia “COVID-19” e tratta della vita e della morte, della solitudine, del rimanere isolati in un mondo che prima era ‘iper-connesso’ e ‘iper-digitale’, in cui non c’era assolutamente bisogno dell’altro o di appoggiarsi a qualcuno e dei tentativi di ricollegarsi e del ricostruire una società distrutta. Del divenire appunto di nuovo un “tutt’uno”.
Questo ‘cataclisma’ ha spazzato via il “vecchio mondo”, un mondo dove tutto era disponibile all’istante e non c’era bisogno di richiedere l’aiuto di nessuno o fare alcuno sforzo, un mondo dove era possibile vivere completamente da soli nell’ozio e nell’agio senza appoggiarsi assolutamente a nessuno e senza avere nessuna responsabilità collettiva.
Un cosiddetto “paradiso” dell’automatizzazione e della digitalizzazione spazzato via prima dal ‘bastone’ (figura allegorica descritta come ‘strumento di violenza’ che ‘crea distanze’ usata dall’autore come mezzo figurativo), elemento letterario per descrivere l’egoismo degli esseri umani schiavi dell’individualismo edonista capitalista che dapprima ha creato le distanze che hanno distrutto la società e successivamente dalla forzata e non voluta unione tra ‘mondo dei vivi’ e ‘mondo dei morti’ portata dall’apocalisse sopraggiunta a sorpresa e che successivamente cercherà di essere ripristinato in una maniera alternativa dalla ‘corda’ (altra figura allegorica usata dall’autore del gioco descritta come ‘elemento di unione’) del protagonista del gioco Sam Porter Bridges, corriere per la società chiamata appunto molto figurativamente “Bridges”, cioè ‘ponti’.
“ ‘Make us whole again’, ovvero ‘Renderci un tutt’uno di nuovo’. ”
Questo “nuovo mondo” dove tutto è disconnesso, dove le persone sono perse, rifugiate in bunker sotterranei o schermate da barriere è assolutamente pericoloso. Costellato da un terreno difficile da percorrere sia a piedi che con i mezzi di trasporto, popolato da creature provenienti da appunto il “mondo dei morti” chiamate ‘creature arenate’, pronte a trascinare il protagonista e ogni persona nella dimensione dei morti e trasformarla in una di loro e a distruggere ulteriormente il mondo con esplosioni provocate da questo ‘passaggio’, dall’attraversamento di questo ‘confine tra mondi’.
Anche nel nostro mondo reale ci sono queste problematiche. Viviamo in un mondo iper-connesso eppure siamo isolati. Abbiamo moltissimi contatti e opportunità eppure non creiamo nulla, siamo completamente passivi e non creiamo soprattutto legami perché tutto è diventato fugace, effimero e senza valore a parte quello istantaneo. Una società basato sul “tutto e subito”, sulla facile gratificazione che comunque paradossalmente produce vacuità e insoddisfazione portando addirittura a depressione e dipendenza dai media.
La vecchia società nata dal mondo rurale fortemente comunitaria dove ogni individuo pensava alla collettività vuoi per volontarietà vuoi per obbligo morale prosperava grazie a questa rete sociale costruita sui legami di sangue e di classe creati nei paesi e nei posti di lavoro come le fabbriche o i campi.
Questa società si sforzava di non lasciare indietro nessuno provvedendo al miglioramento delle condizioni di vita di tutti. Le feste religiose, quelle laiche e le lotte sociali erano mezzi per mantenere solidi quello “collegamenti” (“link” per usare ironicamente un termine attuale).
I sindacati, le gilde e i gruppi spontanei di supporto tra persone e lavoratori rendevano molto forte questo tipo di società.
Non un è un caso appunto che la società e la sua importanza come parte della vita degli esseri umani sono incominciate a venire meno con l’avvento delle nuove tecnologie.
Non più importante è la collettività oramai ma piuttosto l’individuo con le sue necessità materialistiche e edonistiche.
Il passaggio da un modello quasi proto-socialista ad uno prettamente borghese capitalista ha distrutto il concetto di società interconnessa sia dal punto di vista sociale che lavorativo.
Questi eventi hanno portato ad una spaccatura nel tessuto della società e conseguentemente ad una mancanza dei collegamenti tra persone nei nuclei familiari sia ristretti che estesi, sia nei nuclei lavorativi.
Ergo ci ritroviamo tutt’oggi ad essere sì collegati ma paradossalmente soli e impossibilitati a creare duraturi legami affettivi e lavorativi.
L’assenza inoltre d’un etica sia nei rapporti interpersonali sia in quelli lavorativi ha fatto sì che il potenziale di crescita della società scendesse inequivocabilmente a livelli bassissimi.
Certo la pressione sociale e morale delle vecchie e delle attuali strutture sociali rurali è negativa perché limita le libertà dell’individuo ostracizzato da limiti imposti da credenze popolari spesso frutto di stereotipi e moralismi.
Questo sicuramente è qualcosa di non desiderabile però come questa trasformazione della società crea miglioramenti crea anche mancanze anche piuttosto gravi direi.
Un esempio è l’assenza dello stato sociale. Se tutto viene lasciato al mercato, al capitalismo e al liberismo, il concetto di essere umano e il suo valore vengono meno.
Questo porta ad un isolamento, ad una solitudine, a sentirsi non più parte della società ma a divenire un semplice numero in un bilancio. Infatti spesso lo stato viene definito “azienda” e le persone “risorse”.
Ovviamente sentendosi considerare in questo modo porta gli individui a non avere più forza vitale e non avere soprattutto più autostima. A non avere più voglia di relazionarsi e di creare quei appunto “ponti” che dovrebbero unirci tutti e far sì che la società tutta migliori.
Ecco perché questo gioco non è un semplice divertimento ma un messaggio, quasi una supplica a non dimenticarsi che non siamo soli. Dalle nostre camere collegate con connessioni ad internet, dai nostri cellulari, dalle nostre pagine sulle reti sociali trasmettiamo ogni giorno frasi che sì dicono qualcosa ma alla fine non dicono niente.
Questo perché non concretizziamo nulla di quello che diciamo. Stiamo sempre a recriminare quello che fanno gli altri invece che aiutare a creare qualcosa di migliore.
Noi non siamo soli, cerchiamo di prenderci cura dell’altro per migliorare la società. Sarà anche un beneficio per noi stessi alla fine.
Ecco perché il desiderio dell’autore Hideo Kojima di creare un gioco che sproni le persone a collaborare per prevenire la fine del mondo e della società e conseguentemente del genere umano.
Molte persone si nascondono su internet sicure nelle loro zone di comfort rifiutando ogni differenza, ogni critica perché è molto più “facile” “vivere” così.
Ma questa non è una vera vita. Questo è solo sopravvivere.
Questo gioco ci fa riflettere perché ci fa ricordare quanto sia utile il valore della collettività. Perché non siamo isole anche se ce lo ripetono sempre. Siamo sì individui ma comunque la società stessa è fatta da individui. E la società è quella che produce risultati positivi come un sistema sanitario nazionale universale gratuito.
Le stesse tasse devono essere proporzionali rispetto al reddito perché le persone meno abbienti non devono essere lasciate indietro.
Nel mondo di gioco di “Death Stranding” le persone che non possono permettersi un rifugio sono lasciate a se stesse senza alcun aiuto ed in balia dei pericoli del mondo.
Il protagonista Sam Porter Bridges (il cui cognome appunto significa ‘ponti’) è un corriere e crea tramite mezzi tecnologici strutture utili alla collettività come ponti, magazzini, strade e aiuta il prossimo portandogli ciò di cui ha bisogno.
Il protagonista del gioco è l’urlo con cui il creatore del gioco chiede alla società di non disgregarsi ulteriormente.
Quante volte ci è capitato d’essere dimenticati perché non più utili al prossimo perché il modo di percepire gli altri ormai è malato. Non si considerano più le persone come esseri viventi dotati di emozioni e capaci di sbagliare ma come qualcuno da cui si può guadagnare qualcosa e spesso lo si vuole guadagnare subito per poi velocemente eliminarlo dalla nostra vita perché abbiamo paura di “legarci”, di “collegarci” l’un l’altro.
Azzurra Nies