Il genio di Hooper in 60 capolavori

(fonte: Ansa)
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Dagli acquerelli parigini degli esordi ai paesaggi e scorci cittadini degli anni ’50 e ’60 agli interni grondanti di umana solitudine, il genio di Edward Hopper è al centro di una grande mostra antologica allestita dal 25 marzo al 24 luglio a Bologna, negli splendidi spazi di Palazzo Fava. 60 capolavori provenienti dal Whitney Museum di New York, che custodisce l’intera eredità dell’artista americano, tra i più famosi e celebrati del ‘900 per la sua capacità unica a fermare l’attimo, come fosse cristallizzato nel tempo, di un panorama o di una persona. “Edward Hopper”, prodotta e organizzata da Arthemisia Group, congiuntamente con la Fondazione Carisbo e Genus Bononiae. Musei nella Città e con il comune di Bologna e il Whitney Museum of American Art di New York, è stata curata da Barbara Haskell, responsabile della sezione dipinti e sculture dell’istituzione museale americana, e da Luca Beatrice, che hanno selezionato le opere in modo da offrire al visitatore italiano l’intero percorso creativo del grande pittore.

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Si comincia con un gruppo di autoritratti, le opere del periodo accademico e gli schizzi inondati di luce e quelle del periodo parigino: capolavori come ‘Soir Bleu’, opera monumentale lunga circa due metri, simbolo della solitudine e dell’alienazione umana, realizzata da Hopper nel 1914 a Parigi o ‘Evening Wind’ e ‘Night Shadows’, entrambe del 1921, che segnano l’inizio di una felice carriera. E se una sezione illustra la straordinaria mano di Hopper disegnatore e il suo metodo di lavoro, con un importante nucleo di disegni preparatori quali ‘Study for Gas’ (1940), ‘Study for Girlie Show’ (1941), ‘Study for Summertime’ (1943), ‘Studio per Pennsylvania Coal Town ‘(1947), non mancano in rassegna alcune delle più significative immagini di donne, nude o semi svestite, da sole e in interni, affaccendate o contemplative. Si tratta di dipinti che raccontano al meglio la poetica dell’artista, il suo discreto realismo e soprattutto l’abilità nel rivelare la bellezza dei soggetti più comuni, usando spesso un taglio cinematografico.

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Del resto, Hopper affronta nella sua lunga attività quasi tutti i motivi e generi della pittura figurativa. Ritratto, paesaggio, nudo, scena d’interno sono i protagonisti di suoi capolavori come ‘Self-Portrait’ (1903-06), ‘Second Story Sunlight’ (1960), ‘Summer Interior’ (1909), ‘New York Interior’ (1921). Senza contare i bellissimi acquerelli, realizzati durante le estati trascorse nel Massachusetts, o a Truro (‘Cape Cod Sunset’ del 1934). Opere che raffigurano dune di sabbia arse dal sole, fari e modesti cottage, animati da straordinari contrasti di luce e ombra. Insieme alle vedute urbane, agli interni della middle class, dove palpitano nelle luci fredde le azioni sempre irrisolte dei suoi personaggi, la mostra riesce a mettere insieme una vera e propria ‘cifra hopperiana’, che è stata poi ereditata in molteplici campi dell’espressione visiva dalla pittura al cinema, dalla fotografia alla pubblicità. Proprio perché, nonostante fosse una persona schiva e solitaria (o forse proprio per quello), Hopper ha saputo genialmente rappresentare nei suoi capolavori i tratti salienti e gli stereotipi del mito americano, ieri come oggi.

di Ilaria Rundeddu