LOVE FOR LIVER FOR LIFE. Amore per il fegato….amore per la vita.
Si può dire che per vivere ci vuole fegato frase coniata da Ica nel 2007 per una Tavola Rotonda tenutasi all’Università di Sassari.
Ica è la Presidente dell’Associazione “Love for Liver for Life onlus” che si occupa di prevenzione cura e ricerca delle epatopatie e dei trapiantati di fegato.
Ci vuole fegato perché lei la malattia e il trapianto li ha vissuti sulla propria pelle e, invece di rinchiudersi nel suo personale mondo di cure e commiserazione si è ulteriormente aperta al mondo e alla vita occupandosi degli altri; invece di chiedersi: -perché a me?- si è impegnata e si impegna ogni giorno perché non accada ad altri e perché, quando accade, gli altri non si sentano mai soli. Anche questo è un suo pensiero costante.
Ma Ica Cherchi è tante altre cose.
Dopo una mattinata con lei ti vengono in mente due aggettivi che la descrivono molto bene: “infinita” e “travolgente”.
Infinita nel senso che le sue performance non conoscono confini, così come la sua conoscenza del mondo, del genere umano, della vita, della sofferenza e della gioia, ma soprattutto per l’immensità della sua compassione nel senso più puro del termine, quale sentimento e atteggiamento di sofferta partecipazione ai mali e dolori altrui specificatamente connesso al desiderio di lenirli (Dizionario Zingarelli-Zanichelli della Lingua italiana),
Lo so è un termine strano, probabilmente poco usato e obsoleto, ma è emblematico di una persona, una donna “cittadina del mondo” che trasmette e trasporta dalla sua terra fino agli estremi confini del mondo, il suo sentimento d’amore per l’uomo, in completa autonomia, senza vincoli religiosi o istituzionali, un amore puro che contribuisce realmente, concretamente, alla crescita, all’arricchimento personale di chi la incontra, in maniera concreta e spirituale insieme. Con il suo esempio pervaso d’amore e di passione per la vita informa, forma e trasforma nell’incontro i cuori di pietra di oggi, in cuori di carne, vivi e palpitanti, protesi verso una vita che vale sempre la pena di vivere ogni giorno con intensità e forza, gustando ogni momento come se fosse l’ultimo, senza chiedere nulla in cambio.
E Ica Cherchi è, in questo suo essere “passionaria” della vita, “travolgente” come un uragano d’energia che non può non lasciare traccia nella vita di chi la incontra.
Donna colta, istintiva, fortemente volitiva, energica, creativa e immediata nell’agire non si perde in convenevoli, ma riesce ad essere al contempo dolce e sensibile con chi ha bisogno in modo spontaneo senza affettazione, nella sua Terra di Sardegna che ama in modo totale sino ai tanti paesi in cui è vissuta, a cui comunque appartiene, in ognuno dei quali ha lasciato tracce di se; dalla Francia all’Inghilterra dove ha ancora tanti amici e affetti, all’India dove da trent’anni torna regolarmente e dove ha incontrato i suoi due primi figli “adottivi”,ora adulti e affermati nella vita.
La sua disponibilità a raccontarsi è totale, non si atteggia a “volontaria” seria e impegnata, tutto ciò che fa, e fa tantissimo, è per lei talmente normale, che viene spontaneo chiedersi come ha fatto a diventare così, se lo sia sempre stata o sia stata la vita a travolgerla e trasformarla.
E forse, proprio per questa sua totale apertura alla vita, al mondo, al prossimo bisognoso di conforto, alla fine il Cielo le ha fatto dono di un grande miracolo: le ha reso la vita stessa.
Come era Ica Cherchi bambina?
Era una bambina che non dormiva mai.
Questo preoccupava parecchio mio padre che chiamava il medico di continuo, ogni volta che alzandosi a controllare che tutto fosse a posto mi trovava nel mio lettino con gli occhi spalancati a “macinare pensieri”
Una bambina che soffriva d’insonnia? E’possibile?
No, assolutamente, la mia non era insonnia. Il medico di famiglia li rassicurò, non c’era niente che non andasse, ero magrissima ma energica per tutto il giorno dopo, non mostravo segni di stanchezza, passavo il mio tempo con e come gli altri bambini, credo che, inconsciamente abbia sempre capito che il tempo per il dormire fosse tolto al vivere, concludendo da adulta che per questo straordinario dono della vita non ci sia mai abbastanza tempo per viverla.
Forse era la curiosità per il mondo a tenerla sveglia
Si! Credo fosse l’enchantement de la vie”, l’incantesimo della vita, la sete di conoscere , la fame di sapere, questo incantesimo che mi teneva sveglia per quella insolita curiosità infantile mi ha resa più forte dopo. Da adulta l’esercizio costante della mente mi ha permesso sicuramente ad analizzare, superare i momenti più duri avendo con la malattia un rapporto molto stretto ed impedendomi cosi il crollo e la depressione, come sovente in questi casi avviene. Le persone che incontro, anche loro, m’incantano sempre, anche quelle più difficili.
Quelle che educatamente definiamo “insopportabili”, e il termine che vorremmo usare sarebbe sicuramente più colorito?
Soprattutto queste mi affascinano (a parte alcuni casi), esse mi attraggono e mi spingono ad approfondire, a cercare di comprendere la loro forte difficoltà a comunicare, perché infine è di questo che si tratta, un blocco che le porta a blindarsi, a essere spesso sgradevoli e le assicuro che ho avuto quasi sempre ragione.
Una volta aperta la porta, la maggior parte di loro ha dentro qualcosa che ci somiglia , che ce li rende più vicini e anche loro possono regalarci una parte di quella umanità che disperatamente ed inconsciamente tutti cerchiamo, che è infine una forma d’amore.
Se si porta dentro un po’ di tutte le persone che conosce e che l’hanno affascinata, ce n’è di gente da quelle parti!
Lei ha girato il mondo e in alcuni Paesi ha vissuto per diversi anni. Stando così le cose si spiega molto bene la sua poliedricità, il suo essere così semplice e complessa, anche nel linguaggio e nella lingua, passa dal sardo all’italiano ricercato, per fare poi incursioni nell’inglese e terminare con un perfetto francese dalla pronuncia impeccabile.
Il francese è comprensibile, ha vissuto in Francia dieci anni, è stata sposata con un francese, ma l’inglese?
La personale necessità di conoscere il mio prossimo mi ha fatto capire presto che per comunicare bisogna imparare più linguaggi. Allora si parlava di Londra come un posto unico in Europa dove si
incontravano le grandi culture del mondo.
Decisi perciò di partire per l’Inghilterra, ho vissuto per diversi anni a Londra; ai tempi in cui una donna di Sardegna da sola non poteva certamente andare neanche a qualche km. dalla città natia. Considerando quei tempi riconosco che, il coraggio sia sempre stato qualcosa che mi apparteneva e mi appartiene ancora oggi. Londra allora era al massimo del suo fulgore era un confluire costante e disciplinato di un’umanità differente, colorata, piena di suoni e linguaggi diversi. Capii così che il mondo è molto più vasto di quanto potessi immaginare, con la piacevole sensazione di Alice nel Paese delle Meraviglie. Erano gli anni dei Beatles e dei Rolling Stones. Ho fatto file interminabili per i loro concerti, era un mondo incredibile e io ero una ragazza dei fiori… di Sassari..
Londra mi ha messo in contatto con il mondo, con tutto il mondo.
Il rapporto più stretto l’ho avuto con l’Africa e l’India, sentire tutto questo, con i sensi e con la pelle, ti fa ancora una volta capire che, pur con le difficoltà che s’incontrano, la vita è straordinaria e quanto sia bello vivere..,
India. Come è diventata sua seconda Patria?
Il cuore dell’India penso sia molto simile al cuore della Sardegna. La tenacia, la vivacità intellettiva delle donne indiane è molto simile a quella delle donne sarde, esse sono concrete, non si piangono addosso, la sofferenza, più della gioia, le identifica. Hanno capito istintivamente come funziona il mondo, non sono vittime , anche le più disperatamente povere e, soprattutto, non sono tristi. Ora più che mai sono convinta che sia quella la parte dell’umanità decisamente più forte.
L’India mi ha indicato diverse strade da percorrere e sono grata a questo dolce e profumato Paese, che mi ha concesso di conoscere e di adottare due adolescenti, ora adulti, e di aiutarli a realizzarsi come persone. Uno ora è in Tibet per aiutare ed educare i bambini, l’altra è in America. La Francia invece?
Oh mon Dieux! In Francia sono stata per più di 17 anni, ho vissuto a Bordeaux, una Città che amo moltissimo e che ho sempre nel cuore. Devo riconoscere che anche Bordeaux mi ama ancora. Credo che, sia stato il periodo più felice della mia vita.
Ica cantante. Ho sentito la sua voce e le sue canzoni, magnifiche entrambe, da brivido, come concilia questa professione con il suo impegno sociale?
Il canto, la composizione, sono anch’essi la mia vita, ma oramai da anni dedico la mia voce e le mie canzoni a sostenere diverse Associazioni benefiche, prima di tutte l’Associazione Lover, Liver for Life, i proventi dei CD e dei concerti vanno incanalati in questo senso. Perchè anche questa è Musica per me.
Tra le altre cose organizzo il festival annuale della canzone popolare sassarese, e anche quei proventi vanno all’associazione. Io vivo bene dalla mia pensione, non ho bisogno di altro.
Il mio unico intento, ora come ora è rendermi utile per onorare il regalo di questa vita piena e meravigliosa che il Signore mi ha donato.
Più di quanto già ha fatto?
Ma non ho fatto nulla di speciale! Sinceramente penso che il regalo della guarigione non sia pagabile in nessun modo:
Guarigione in che senso scusi?
Nel febbraio del 2015, pensavo che ormai il mio tempo su questa terra fosse giunto al termine, la malattia aveva ripreso il sopravvento. Dalle ultime analisi avevamo scoperto che la mia carica virale era pari a 4800. Vivevo avulsa dalla realtà, la mia situazione era simile, ma molto più grave, a quella prima del trapianto di fegato: alla mia età infatti l’intervento era impensabile…
Vagavo in un limbo con sentenza chiara. Nella mente un’unica domanda: “Quanto tempo mi resta”
Poi la chiamata del mio medico, Dottor Sergio Babudieri; dovevo recarmi subito da lui.
Giunta li mi parlò di un farmaco di nuova generazione, il Sofosbuvir, contro il virus HCV, arrivato da Boston che si doveva sperimentare qui da noi.
Mi chiese se mi interessava sottopormi alla sperimentazione, che come tutte le sperimentazioni poteva comportare dei rischi, e che, data la fase avanzata della malattia e il mio stato di salute precario, poteva essere inefficace o rischioso.
Si può immaginare il suo stato d’animo, anche se conoscendola potrebbe comunque sorprenderci. Come andò a finire?
Accettai naturalmente, se proprio me ne dovevo andare almeno sarei uscita di scena facendo qualcosa di utile. Magari poteva servire a salvare qualcun altro nelle mie condizioni, più giovane, con una vita davanti a se. Ecco, questo ho pensato e ho detto si.
Quindi come è andata?
Nove giorni dopo la carica virale era scesa a 96. La settimana successiva nel mio sangue non c’era più alcuna traccia del virus. Ero malata da quarant’anni. Un miracolo.
Di cosa potrei avere ancora bisogno secondo lei?
Ho sempre detto che, dopo una vita tanto intensa, ma comunque segnata dalla malattia,mi era rimasto solo un sogno purtroppo irrealizzabile. Morire sana. Beh, l’ho realizzato.
Questa donna, straordinariamente ironica e coraggiosa, icona di speranza, nel dirlo scoppia in una sonora risata e non si può che unirsi a lei in questa esplosione di gioia e inno alla vita.
Lei non ha bisogno d’altro, noi andiamo via con la convinzione che il mondo, invece, avrebbe bisogno di più persone come lei.
Maria Carmela Contini.