Chez Madame de Rambouillet La camera azzurra… E fu il salotto
“Giovane e bella, e di alto lignaggio”, così scriveva nelle sue Historiettes G. Tallemant des Réaux, affidando alle sue memorie il ritratto di Catherine de Vivonne, marchesa de Rambouillet. E agli occhi di un uomo di mondo come Tallement sembrava molto strano che con tali qualità che sembravano fatte apposta per essere ammirate, Catherine non gradisse frequentare la reggia del Louvre dove Enrico IV aveva insediato la sua Corte. Non che non amasse i divertimenti o la conversazione. Né si poteva dire che la crescente avversione per le feste e gli spettacoli di Corte fosse la reazione indispettita di chi si sente trascurata in simili occasioni. La sua presenza al Louvre non passava inosservata. La sua delicata bellezza non era sfuggita agli occhi del Sovrano, che in quella Corte era a tutti noto come “le Vert Galant”, per via del suo colore preferito e soprattutto delle sue travolgenti passioni, sempre pronte ad accendersi per le donne. E, infatti, lo stesso Enrico IV, aveva voluto che Catherine prendesse parte al leggiadro corteo di giovani nobildonne che al seguito di Madame de Guise erano state inviate a Marsiglia nel dicembre 1600 per rendere omaggio alla sua nuova legittima consorte, Maria de’ Medici, che giungeva, dall’Italia. Stile e prudenza consigliavano a Catherine di non fare cenno con alcuno alla vera ragione che la spingeva lontano dalla Corte. Sarebbe stato disdicevole oltre rischioso se avesse detto apertamente che di quella società del Louvre poco o punto incontrava il suo gusto raffinato: non i costumi più propensi alla licenza che alla galanteria cortese, non il tono volgare del linguaggio più adatto a una piazza d’armi che a una reggia, e men che meno la grossolanità dei modi con cui l’arrogante nobiltà di spada si rapportava alle dame in quella Corte. Per non parlare poi dei rancori, degli intrighi o dei complotti che in quel tempo covavano sotto le ceneri di una Francia solo da poco pacificata, dopo più di trent’anni di atroci guerre di religione. Catherine incominciò pertanto a diradare sempre più le sue frequentazioni a Corte a partire dalla sua prima gravidanza, adducendo uno stato precario di salute. E a una gravidanza, un’altra ne seguiva. Sta di fatto che quando Enrico IV morì tragicamente il 14 luglio del 1610 — manco a dirlo a causa di un ennesimo attentato, questa volta colpito senza scampo dal pugnale di un cattolico fanatico — e al trono saliva il figlio di appena nove anni, Luigi XIII, mentre Maria de’ Medici, assumeva le funzioni di Reggente — Catherine aveva già lasciato sue spalle le luci della Corte. Aveva allora ventidue anni e la sua esistenza incominciò a risplendere di luce propria.Decise, infatti, di aprire la sua casa a una cerchia di persone attentamente selezionate che presero a frequentarla abitualmente già prima del 1613, come annota il poeta Malherbe che dal nome “Catherine” coniò l’anagramma di Arthénice, che suonava vagamene simile al nome di una dea dell’antica Grecia. E in effetti Catherine era circondata quasi fosse realmente una dea dalla sincera e devota ammirazione dei suoi ospiti che ricomprendevano molti dei più bei nomi della società francese di quel tempo. Presso la Marchesa s’incontravano principi e principesse, ma anche uomini di lettere come Voiture, Chapelain, Corneille appartenenti al terzo stato. La nobiltà di sangue si faceva tollerante, imparava a rendere onore al merito che nasce dallo spirito. E così socializzava con persone di nascita borghese che altrove non avrebbe degnato di uno sguardo. Il piacere della conversazione si condivideva alla pari: si leggevano ad alta voce le opere letterarie più recenti e le si commentavano insieme. E i giudizi, soprattutto quelli provenienti dalle donne, contavano non poco ai fini del successo degli autori presso il pubblico più vasto. Nella cerchia di Catherine, la donna era considerata sinonimo di gusto innato, di sensibilità incline al bello, alla poesia, alla precieusité, come allora s’incominciò a chiamare lo stile raffinato e colto. Non vi è dubbio che tale atmosfera fu di grande giovamento ai fini di quella ricca fioritura di scrittrici del Seicento che dalla lingua parlata dans la coversation trovarono più agevole il passaggio agli scritti di memorie e di romanzi. Nel circolo di Madame de Rambouillet, amore per la politesse e amore per la lingua, epurata dai vocaboli volgari, arricchita da metafore brillanti, impreziosita dai giochi di parole, andavano di pari passo con i piacevoli divertimenti: oltre la conversazione e le letture, si coltivavano i concerti, i balli e soprattutto il teatro, che era messo in scena anche con l’intervento di alcuni dei più grandi attori, come Montdory e Moliére. L’aveva ricevuto in eredità dal padre, Jeanne de Vivonne, marchese di Pisani, e fu ribattezzato Hôtel de Rambouillet, quando il marito, Charles d’Angennes, ereditò nel 1612 il titolo di marchese. Le soluzioni adottate con quella ristrutturazione, che fu compiuta in base ai suoi disegni, lasciarono un segno nel modo di concepire le residenze nobiliari. Tutto in quella casa, dalle rifiniture, ai mobili e agli arredi rivelava la personalità della marchesa, il cui gusto raffinato richiamava le sue origini italiane. Catherine era nata a Roma nel 1588 quando il padre era ambasciatore di Francia presso la Corte Pontificia e la madre Giulia apparteneva all’illustre famiglia dei Savelli che aveva dato alla Chiesa un Papa e numerosi Cardinali. Sebbene fosse andata sposa non ancora dodicenne, l’educazione impartitele dalla madre comprendeva anche l’italiano, in modo che fin da piccola imparasse la lingua di entrambe i genitori. Per rendere più accogliente la sua casa Catherine aveva fatto ristrutturare la residenza parigina di famiglia, il vecchio Hôtel de Halde situato in rue de Saint-Thomas-du-Louvre.Fra tutti gli ambienti dell’Hôtel de Rambouillet, la Chambre Bluée è di gran lunga il luogo reso più celebre dai ricordi di chi ebbe l’onore di esservi ammesso. Situata al primo piano, la stanza prendeva il nome dal colore azzurro della tappezzeria in broccato d’oro e d’argento, e dal colore delle tende. Aldilà della scelta cromatica che rompeva con il tradizionale abbinamento “rosso e cuoio” destinato agli ambienti interni delle case, i visitatori erano colpiti dal fatto che contro ogni convenzione quel luogo di ricevimento era la camera da letto ufficiale della marchesa. Il letto col baldacchino era situato in una rientranza del muro — la cosiddetta “alcova” di origine moresca — che lasciava due passaggi ai lati del letto, dove potevano prendere posto gli ospiti per stare più vicini alla marchesa che a causa di un fastidioso disturbo, che la rendeva particolarmente sensibile alle variazioni di temperatura, aveva preso l’abitudine di ricevere le persone più intime della casa, stando seduta o semisdraiata sul suo letto. I “passaggi” o “vicoli” laterali denominati ruelles sarebbero poi divenuti famosi perché impiegati come generica denominazione dell’ambiente dove si ricevono le visite. Negli anni in cui l’Hôtel de Rambouillet raggiungeva il suo massimo splendore (1630-48) non esisteva ancora nella lingua francese una parola che designasse l’ambiente della casa destinato all’ospitalità: la parola “salon” nel senso odierno di “salotto” sarebbe entrata in uso quasi duecento anni dopo, solo sul finire del Settecento. In passato ci si riferiva preferibilmente non al luogo per lo più indicato dal termine ruelles o anche alcôve, ma alle persone, per cui si diceva la societé o la compagnie che si radunava chez Madame de Rambouillet. E proprio per qualificare il carattere particolarmente distinto della compagnia che frequentava L’Hôtel de Rambouillet si usò per la prima volta l’espressione «gran mondo» divenuta in seguito usuale per designare una riunione di persone eccellenti in fatto di gusto e di maniere. Anche alla spiritualità religiosa più sensibile di quel tempo non sfuggì l’importanza che la vita mondana andava assumendo nell’alta società francese del Seicento. Questa la normale condizione in cui svolgeva l’esistenza terrena della donna che non avesse intrapreso la via religiosa del convento. Il bisogno di uno spazio di vita intermedio tra la completa rinuncia del mondo e il totale abbandono della fede corrispondeva pertanto ad una pressante esigenza. Ne è conferma il successo incontrato da l’Introduction à la vie devote che San Francesco di Sales aveva scritto nel 1609 per una giovane nobildonna che si accingeva a entrare in società, con l’intento di mostrare come fosse possibile vivere nel mondo senza venir meno alla propria fede. Questione alla quale anche Madame de Rambouillet era particolarmente sensibile essendo a detta di tutti i memorialisti una persona sinceramente devota, la cui condotta come donna e come sposa mai fu sfiorata dal benché minimo pettegolezzo. Il «salotto» di Madame de Rambouillet, si trovò così a esercitare una funzione riformatrice guidata più dal gusto personale che dalla scienza della Marchesa. Mirava, infatti, a un ideale di vita superiore, la cui eccellenza sotto il profilo estetico e morale finì con l’imporsi in modo del tutto spontaneo, graduale e persino giocoso come l’unica vita degna del vero gentiluomo e della vera gentildonna. Questo stile di vita esercitò la sua positiva influenza durante il periodo di transizione che va dalla morte di Enrico IV all’inizio del regno personale di Luigi XIV (1661), quando, cioè, sul piano politico-militare grazie all’azione di Richelieu e di Mazzarino e al valore di uomini d’arme come il Gran Condé — il vincitore di Rocroi (1643) — tutto volgeva alla primato della potenza francese in Europa, mentre sul piano dei costumi e del vivere civile, e soprattutto del gusto artistico-letterario, l’Italia e la Spagna sopravanzavano ancora e di molto la Francia. “Tutto era rude e alquanto grossolano, nella mente come nel cuore” scriveva G. Cousin compendiando nell’Ottocento i caratteri di quegli anni: abbondava la forza, ma la grazia era assente e il buon gusto era del tutto sconosciuto. “Occorreva la politesse”, cioè, l’urbanità dei modi, l’uso elegante della lingua, il rispetto dell’altro, la tolleranza, affinché “il secolo potesse raggiungere la sua perfezione” e diventare, come poi di fatto è stato, le Grand Siécle della storia della Francia. E la scuola di questa “felice rivoluzione” fu proprio l’Hôtel de Rambouillet. Anche se non fu la prima né l’unica ad aprire la sua casa, il ruolo avuto da Madame de Rambouillet nel favorire e dare lustro alla nascita di un nuovo stile di socialità difficilmente può essere revocato in dubbio. E tuttora resiste alla prova del tempo. Come affermava già nel Seicento l’accademico di Francia Jean R. de Segrais, Madame de Rambouillet non soltanto aveva corretto i cattivi costumi che vigevano prima di lei, ma aveva anche insegnato la politesse a tutti coloro che l’hanno frequentata, così ancora oggi non vi è storia del costume o della vita letteraria francese che non dedichi almeno un rigo a Madame de Rambouillet e all’ospitalità della sua casa.
Patrizia Floris