Né puttane né madonne. Un diritto anche per le donne in politica
Dal blog Cronache Marziane a cura di Rossella Lamina
La presidente della Camera Boldrini condanna come “sessista” una parodia della ministro Boschi. Ma le donne in politica sono come madonnine in una teca? E non sarà giunta l’ora di piantarla con il “politicamente corretto”, soprattutto quando invoca la censura?
Passato un 8 marzo segnato da tremendi fatti di cronaca, da celebrazioni ufficiali in cui da tempo è ricicciata l’esaltazione dei valori muliebri (pazienza, spirito di sacrificio…son tutte belle le mamme del mondo); spenta la fontana rosso sangue del Quirinale – un rimando, più che alla giornata internazionale della donna, a un 2 novembre di commemorazione delle sole defunte (“Alle donne vittime della violenza”, campeggiava sotto l’obelisco: un monumento al carnefice ignoto?), proviamo dunque a domandarci se la china funerea e bacchettona, che sta prendendo piede oggi in Italia, sia veramente utile ai dritti delle donne.
“Ci sono tanti modi per fare satira, ma quando si cede al sessismo la satira diventa qualcosa di altro”, ha dichiarato Laura Boldrini in merito all’imitazione messa in scena su Rai Tre dall’attrice Virginia Raffaele. Intanto il deputato PD Michele Anzaldi ha inviato una lettera alla presidente della RAI Tarantola, per chiedere di “valutare se questo è servizio pubblico“.
ecco il video:
Copioni già recitati, soprattutto quando in ballo c’è la RAI. Ma in cosa la – assai blanda – satira in questione sarebbe “sessista”, e dunque assimilabile ad un insulto? La lettura applicata a Maria Elena Boschi da Virginia Raffaele, ed il conseguente meccanismo comico, è simile a quella riservata al premier Renzi da parte di Maurizio Crozza: entrambe mettono in luce l’uso della seduzione come arma per distogliere gli interlocutori dall’assenza di contenuti politici concreti. Allora, Renzi sì e Boschi no? Dal canto suo, l’attuale ministro per i Rapporti con il Parlamento, saggiamente, non se ne risente.
Se è vero che nel nostro Paese le donne in politica, nelle istituzioni, ai vertici delle aziende e degli apparati che contano sono ancora sparuta minoranza (ed evviva il trasversale sussulto pro-quote rosa delle deputate), questo non implica che le donne giunte in posizioni di potere non debbano essere soggette a critiche od agli sbeffeggiamenti della satira. Reclamo il diritto a parlare male dell’operato di figure come Angela Merkel o Margaret Thatcher, persino post mortem – ed anche della regina Vittoria, che nel suo impeto castigatorio fece coprir le gambe pure ai britannici tavolini.
Invece le gambe delle donne – insieme a tutto il corpo femminile, intero o fatto a pezzi – non ci vengono certo lesinate in questa Italia, dove è in corso un conflitto, “a bassa intensità” ma non meno cruento, contro il protagonismo reale delle donne. Tutto congiura per tenerle lontane dalla sfera pubblica: solo il 47,1% lavora fuori casa; artiste, intellettuali – ed anche attrici di satira e donne politiche – faticano a prendersi spazio e parola se poco “decorative” o non allineate.
Però dalla censura – strumento per sua natura repressivo – nulla di buono è mai venuto in favore della liberazione di chiunque. “Né puttane, né madonne: solo donne”, recitava uno storico slogan del movimento femminista. Se non si vuole soltanto difendere uno status, quella rivendicazione dovrebbe essere valida anche per le donne presenti in politica e nelle istituzioni.
Personalmente, poi, ne ho fin su i capelli dell’uso delle tematiche di genere come pretestuosa mannaia, buona per tagliar via domande scomode, ghigliottinare opposizioni o invadere paesi stranieri. Provo ancora profondo disgusto per l’enfasi mediatica sulle donne afgane, scese festanti in strada senza il burqa, portato via dai “liberatori” americani. Gli stessi liberatori che negli anni successivi le hanno rese “effetti collaterali”, bombardando funerali e cortei nunziali, dove l’odioso burqa è andato a coprire cadaveri di donne.
Per fortuna, anche in questo ultimo 8 marzo, le donne sono tornate in piazza, a Roma come in altre città, con la parola d’ordine “#IO DECIDO”.