Se Potessi …
Se potessi stasera me ne starei a letto ad ascoltare la pioggia che batte sui vetri insistentemente, ma non c’è tempo per tergiversare, oggi è il giorno dall’anno che preferisco: l’ho soprannominato il giorno del giudizio. Trovo suoni così melodrammatico, molto fine del mondo.
A malincuore lascio l’alcova ancora calda e, non appena appoggio i piedi a terra, mi sveglio completamente. In un attimo sono proiettata fra strati di carta igienica e phard.
Il bagno è in assoluto il luogo che preferisco: c’è tutto, o meglio, quasi tutto. A poterci installare un frigorifero ed un piccolo cucinino, a ben vedere, non avresti bisogno di nient’altro. In fondo siamo come lombrichi: mangiamo e produciamo concime per questa nostra madre terra ogni santo giorno.
Se però dovessi scegliere che animale essere non avrei dubbi, sceglierei il ratto, e lo sceglierei per molte ragioni. Innanzitutto ha una pelliccia e non ha ucciso nessuno per procurarsela, il che al giorno d’oggi, con tutti gli animalisti che ti tirano addosso la vernice, è senza dubbio un privilegio. Vive dove vuole, e così facendo non ha costi fissi. Ha una dieta variata, a volte anche un po’ avariata, ma questo fortifica. Infine l’antracite è un colore terribilmente di moda in questi tempi.
Ma torniamo al dunque, vestita e pettinata vado in cucina alla ricerca di qualche resto commestibile. I miei coinquilini hanno già cenato e io sono solo alla colazione. Lavorare a turni a volte è stressante, mi scombussola i ritmi che già facevano fatica a seguire il metronomo prima, figurarsi ora che sono in stato di anarchia totale. Faccio l’infermiera, un gran bel lavoro. Il positivo è che se ti va bene ti sposi un dottore e non lavorerai mai più, il negativo è che poche riescono ad avere una vita normale. Non fai in tempo a conoscerne una persona interessante che già ti toccano le notti.
Prendiamo me per esempio: ho già 30 anni suonati, sono piacente, curve al posto giusto e tutto l’armamentario che serve. Non riesco a trovare un uomo nemmeno se vado allo stadio, e lì ce ne sono sempre molti, a volte anche in calzoncini succinti che si sudano addosso l’un l’altro. Lo spettacolo è degno di nota, quando riesci a vedere qualcosa.
Una volta ci sono stata con un’amica che mi ha assicurato, voleva anche scommettere, che entro la fine della partita avrei rimediato un numero di telefono. Bene, io ci ho provato: mi sono messa carina, jeans stretti, maglia tirata sul seno e scarpe da ginnastica, giuro mi sono impegnata. Dopo quasi un’ora di noia, durante la quale non sono riuscita a vedere nemmeno un pezzo d’erba perché la famiglia davanti a me discendeva direttamente da Conan il Barbaro, tutti alti più di 1e70, mi sono rassegnata e mi sono seduta. Purtroppo senza accorgermi che, durante la manovra di atterraggio del mio didietro sulla tribuna, ho fatto cadere di mano il cellulare al ragazzo di fianco. Ovviamente non l’ha presa tanto bene, ha smesso di guardare la partita, il che è un brutto segno per un uomo, e mi ha investita con un sacco di parolacce. Alcune non le avevo addirittura mai sentite ed è tutto dire perché papà lavorava al porto e lui sì che ne sapeva tante. Alla fine me ne sono andata sì con un numero dallo stadio: quello dell’assicuratore del tizio. Ho deciso che non ci tornerò mai più, la prossima volta per rimorchiare proverò altrove.
Il problema è che ormai alla mia età sono tutti già sposati, quelli che restano sulla piazza li devi controllare per bene. Devi leggere gli ingredienti come si fa al supermercato e sperare che non siano ancora scaduti. Persa nei miei pensieri controllo l’orologio, perbacco devo sbrigarmi! Non voglio assolutamente tardare all’evento di stasera.
Lavoro in una casa di cura per anziani. Io adoro gli anziani, sono come i bambini. Teneri e poco pretenziosi. Lavorare con loro è una gioia, a parte quando hanno le giornate in cui la ram (la memoria corta) non funziona bene. Alle volte mi diverto alle loro spalle, entro per portare le medicine e mi chiedono se sono nuova. All’inizio cercavo di farmi riconoscere e quando uscivo dalla stanza ero quasi certa di esserci riuscita. Mi toccava poi tornare a fare altri controlli e, quando notavo che anche in quel momento mi richiedevano se fossi nuova, mi sbizzarrivo con nomi fantasiosi che avrei tanto voluto avere da bambina. Prima ero Chantal, la francesina amante della baguette, poi ero Gertrud patita del würstel con doppia senape e per finire ero Yukiko la cinesina aspira riso bollito.
Queste parti sono difficili da interpretare, specialmente l’ultima perché a volte mi scappa di pronunciare la erre al posto della elle, ma il plusvalore che ogni giorno porto a casa non è indifferente.
Stasera in particolare mi aspetta una di quelle serate che vorresti non finissero mai, hai perfino il timore di iniziarle per paura che volino via e che non ti resti attaccato niente. Stasera è capodanno, la sera che preferisco in assoluto. Tutte insieme portiamo gli ospiti della casa in salone, serviamo loro cotechino e lenticchie, il più delle quali giace a fine serata a mo’ di tappeto sul pavimento. Fra sbatacchiamenti di dentiere e brindisi al nuovo anno guardo questi uomini e queste donne tendersi la mano per iniziare un nuovo anno insieme. Una volta giovani e forti, sani e volenterosi, pieni di speranze, ora trasformati in tanti figurini consumati che anelano al domani nel modo giusto, chiedendomi prima che gli spenga la luce, se domani a pranzo c’è il budino.