“Tutto finisce”: i racconti di Chiara Pelossi
Quando anche l’ultima luce sul vecchio anno si spegne sono felice di essere già a letto da ore. Festeggiare gli anni che muoiono non è nelle mie corde, anche se forse potrebbe aiutarmi a vivere meglio. Il veglione di Capodanno é una festa che ho sempre sentito come “definitiva”: l’anno vecchio è concluso e non tornerà mai più. Tutto quello che è effimero mi spaventa, e questo ormai mi è chiaro da tempo. Il mio primo insegnante in merito fu Giallino il canarino che nonna mi aveva regalato per i 12 anni. Ero così felice di aver ricevuto un animaletto che me ne stavo tutto il giorno a guardarlo cinguettare e zampettare nella sua vecchia gabbietta dal fondo color verde mela. Pensavo che quelle quattro sbarre fossero un mondo meraviglioso per lui, che l’avevo liberato dall’indigenza e dai pericoli del mondo. Aveva acqua fresca, un giornale sul quale fare i suoi bisogni e tanto amore. Almeno così credevo finché un giorno Giallino aveva iniziato a strapparsi tutte le penne dal fragile corpicino che, spelacchiato, tremava agli impercettibili spifferi d’aria. Qualche giorno dopo aveva perso la voce e a breve anche la vita. Non mi capacitavo allora del perché. Mi sentivo in colpa per non avergli dato più amore, più cure o semplicemente un compagno. Giallino fu seppellito sotto al pino nano del giardino e ci restò fino alla prima grandinata, che inesorabile aveva riscoperto il suo corpo mezzo mangiato dai parassiti lasciandolo preda dei gatti del quartiere. L’ultimo cosa che trovai di lui fu il becco, che piccolo e fragile spuntava dalla terra come un fiorellino. Da allora quando grandina evito di ripararmi sotto agli alberi, non si sa mai chi possa esserci sepolto lì sotto.
Non riesco a prendere sonno e mi rigiro tentando di ricordarmi dove ho messo le foto che nonna mi fece con lui. Scaccio le coperte con i piedi e mi avvio allo sgabuzzino che, ingombro di cianfrusaglie stipate alla rinfusa, attende paziente che qualcuno lo riordini. Le vecchie scatole con le foto sono in alto, le estraggo stando attenta a non far cadere gli altri pezzi che compongono questo delicato equilibrio. Non vorrei trascorrere la notte a rimettere a posto tutto. Mi siedo per terra con le tre scatole impolverate e le apro, scoperchiando un mondo che ormai non ricordo più a colori.
Apro la prima scatola e con lei anche odori, suoni e sensazioni. Io con la mamma, da piccola, con quelle orrende scarpe dorate che mi obbligava a portare. Papà sull’auto con gli amici di un tempo a imitare i Beatles per rimorchiare le ragazze, mia sorella con l’apparecchio ai denti e i codini sbiaditi dal sole. Ci prendo gusto e lentamente il film della mia vita prende forma. La foto della prima comunione, i compagni di scuola con la maestra che ti sputacchiava sempre sui fogli quando parlava. Il cane dei nonni che correva per tutto il cortile abbaiando a qualsiasi cosa animata. Quanti anni sono passati da allora, quante cose sono successe. Quante persone ho perso e quante ne perderò. Mentre sono assorta nei pensieri uno scricchiolio sinistro arriva dal ripostiglio. Lo riapro molto lentamente mettendo le mani avanti nel caso in cui il suo contenuto avesse deciso proprio ora che è stufo di starsene lì dentro. Invece, al posto del boato che mi sarei aspettata aprendolo, un piccolo rumore mi avverte che qualcosa di poco ingombrante è atterrato sul pavimento. Lo prendo in mano, è un piccolo diario foderato di carta a stelline gialle su fondo azzurro, i bordi sono rovinati e le pagine ingiallite. Non ricordo di aver avuto un diario da bambina. Curiosa lo apro subito, un minuta grafia svolazzante riempie tutte le pagine, qua e là macchiate dall’inchiostro nero di seppia. La data in alto è 1934, di chi sarà stato? Sfoglio veloce le pagine sperando di trovare un indizio, poi impaziente inizio a leggerlo.
“Caro Diario, oggi è l’ultimo giorno dell’anno e mamma dice che devo scrivere i “fioretti” per l’anno prossimo e che mi aiuteranno a essere meno triste per la morte di quest’anno. Io non voglio lasciarlo andare via, non voglio diventare grande, affrontare la vita e crescere. Hai visto cosa è successo al canarino che mi ha regalato papà? È morto l’altro giorno e non tornerà mai più. Papà mi ha detto che è tutta colpa mia, che non l’ho curato abbastanza. Ma non è vero! Io l’ho tenuto bene, è lui che ha voluto morire e non me l’ha nemmeno fatto capire, che screanzato! Gli volevo tanto bene e lui guarda come mi ha ripagata. La gabbia vuota è stata gettata dietro alla legnaia. Senza che papà mi vedesse sono andata a riprenderla e l’ho nascosta nell’armadio. È così bella, ha un fondo verde mela che mi ricorda la primavera …”
Lo chiudo di scatto, che scherzo è mai questo? Chi ha scritto i miei ricordi su un diario e l’ha messo nell’armadio? Spaventata mi guardo in giro, ingenuamente penso di trovare il colpevole solo spaziando con lo sguardo nella stanza. Smetto di colpo, mi appoggio al muro e continuo la lettura.
“Oggi sono stata da nonna tutto il giorno, nelle tasche del grembiule tiene le caramella alla menta, quelle fatte di zucchero che si sciolgono in bocca pizzicandoti il palato. Gliene ho rubate due e poi mi sono pentita. Non volevo dirglielo e così le ho infilate nella buca delle lettere. Le troverà domani con la posta, speriamo non pensi subito a me anche se a Angus quelle proprio non piacciono. Papà dice che la colpa di tutto è sempre la mia e che Angus, mio fratello minore, è troppo piccolo per capire. Io credo invece che lui sia il preferito di mamma e papà e io no! A volte mi chiedo se mi hanno presa all’orfanatrofio e non me lo vogliono dire. Prima o poi avrò il coraggio di chiederlo a mamma. Ho scritto i fioretti e devo dire che mamma aveva ragione. Immaginare quello che sarà se hai degli obiettivi sembra meno pauroso. Al primo posto ci ho messo: Fare la brava anche quando non ne ho voglia. Al secondo posto: Non picchiare più Angus e al terzo posto: risparmiare i soldi per comprarmi la penna stilografica che ho visto al negozio oggi con papà. Non me l’hanno nemmeno lasciata toccare perché è troppo cara, ma un giorno sarà mia! Non so quando perché è difficile guadagnare in questa famiglia, quando aiuto mamma mi dice che è un dovere e perciò non mi paga. L’unico che ci capisce qualcosa di soldi è nonno, quando mi dà qualche lira mi sento volare e corro a metterle nella vecchia scatola dei biscotti che mi ha preparato per Natale…”
Chiudo il libricino con dolcezza, Angus? Angus è nonno. Devo aver trovato il diario di sua sorella. Devo dirglielo subito! Scatto in piedi appoggiandomi immediatamente al muro con le stelline che mi vorticano davanti agli occhi. Mi calmo, mi vesto ed esco nel freddo inverno diretta al cimitero. Quando arrivo la porta è chiusa, c’era da aspettarselo, alle due di notte chi va a trovare i morti? Metto le mani sulle inferiate gelate e guardo al di là il regno del silenzio. I volti pallidi delle lapidi mi fissano senza parole, un pezzo di neve scivola dalla cancellata e mi finisce in testa. La scosto senza rabbia e immagino che sia nonno che mi saluta. Ritorno sui miei passi stancamente verso casa, rimuginando su quanto c’è scritto sul diario: il futuro fa meno paura se hai degli obiettivi chiari, scriveva la sorella di nonno … saggia la piccola! Guardo il cielo pieno di stelle luminose, rivedo la copertina del diario e capisco cosa devo fare per vivere meglio. Corro verso casa desiderosa di compilare anch’io la mia lista dei fioretti … e chissà se il prossimo passaggio di anno risulterà finalmente meno spaventoso!
Di Chiara Pelossi