Racconto quasi vegano di Chiara Pelossi
Passeggiando per il centro guardo le coppiette che cenano felici a lume di candela in ristoranti che non risparmiano sul romanticismo: tovaglie di stoffa, fiori a centro tavola e candele a profusione.
Curioso nei loro piatti senza farmi notare e, con la coda dell’occhio, vedo una distesa di bistecche, polli, pesci e tanti altri animali. Qualche cane é seduto ai loro piedi e mi viene spontaneo pensare: “mangerebbero il loro amico più fidato se ce ne fosse bisogno?”
Per fortuna non tocca a me giudicare.Come spettatrice, in fondo, mi colpiscono di più un sorriso sincero e una risata che un pezzo di animale ormai passato a miglior vita. Sorrido e mi allontano pensando a quanto ero buffa all’inizio della mia scelta di vita “quasi vegana”. Dico “quasi” perché rigorosa non lo sono mai stata, nemmeno quando la maestra mi minacciava di farmi riempire paginate di lettere dell’alfabeto, secondo lei maldestre e storte, secondo me invece piene di personalità.
Mi accomodo su una panchina di fronte al lago e lascio vagare la memoria alla ricerca dei miei “primi tempi vegani”, masticando un filo d’erba che spero non sia stato la toilette di qualche Fido.
“Oddio, e adesso cosa mangi?” mi chiedevano gli amici più discreti, allarmati alla vigilia di un invito.
“Mi dispiace, sei ammalata?” mi chiedeva il resto del mondo cercando sul mio viso segni evidenti di qualche problema.
Io rispondevo calma che non bisogna mica essere ammalati per scegliere di cambiare alimentazione. La maggior parte si lasciava convincere abbastanza facilmente, anche se ogni tanto li scoprivo a guardarmi di sottecchi quando, durante le grigliate in compagnia, chiedevo di cuocermi qualche spiedino di tofu invece delle solite gustose costine.
Ammetto che all’inizio del mio percorso ho pensato spesso di gettare la spugna davanti a preparazioni lunghe, ingredienti dai nomi sconosciuti (che cercavo, non senza vergogna, sul vocabolario), ammolli, “tritamenti”, centrifughe e affini.
“Per fortuna” ingurgitare cibi classici aveva effettivamente iniziato a darmi alcuni problemi di salute. Presa tra allergie e intolleranze, mi ritrovavo spesso a pensare ai miei nonni che quelle parole non le avevano mai usate. Quindi tenevo duro, sconvolgendo le abitudini alimentari di tutta la famiglia e anche del gatto che, potrà sembrare strano, ma ora va ghiotto di crackers alla quinoa, o almeno me lo fa credere (non l’ho ancora visto rigurgitarli in giardino per fortuna).
Andare a fare acquisti da intollerante-allergica-neovegana non era più un divertente scegliere a seconda della confezione che più mi attirava. Era diventata una spesa più consapevole e ne andavo fiera. Certo, non era stato facile abituarmi a leggere etichette chilometriche, stampate in caratteri che solo la Puffetta sarebbe riuscita a vedere senza occhiali e mal di testa. Poi però, con il tempo, ho sviluppato una sorta di lettura selettiva: le scritte legate agli alimenti ai quali ero allergica mi saltavano all’occhio come i personaggi di un film in 3D.
Mia madre, che si crucciava convinta che avrei cresciuto i miei figli a suon di Tofu e latte di riso, obbligandoli magari ad ingurgitare strani beveroni verdi, aveva intensificato gli inviti a pranzo, svaligiando il giorno precedente la macelleria di quartiere e accumulando punti fedeltà. Mio padre, pescatore da sempre, affermava che in quel periodo gli squisiti pesci persico del Lago Maggiore gli saltavano letteralmente in braccio, chiedendo di essere cucinati per noi, poveri mangia erba.
Ero convinta che la pigrizia insita nel mio DNA (perché é lì che deve essere) non mi avrebbe aiutato in questa nuova scelta. Di natura poco incline a concentrarmi per lunghi periodi, ho corso il forte rischio di stancarmi di ammolli e preparazioni complicate.
Dopo svariati mesi di ricette rigorose aromatizzate al Gomasio, ammetto di aver iniziato a bramare un pezzo di formaggio, arrivando addirittura a sognarmi in una Jacuzzi di fondue al Vacherin. Sola in questa mia nuova scelta non sapevo a chi chiedere consigli per accorciare i tempi di preparazione, che seguivo come uno scienziato al primo esperimento, uscendone sfiancata. I miei figli comunque mi aiutavano, tanto che ormai li credevo devoti al sacrificio: avevano smesso di chiedere pezzi di salamino o prosciutto, probabilmente impressionati dai filmati che gli avevo fatto vedere su Youtube.Talvolta però io stessa, mentre preparavo i panini per le gite scolastiche, spalmando Humus al posto del classico prosciutto cotto, mi chiedevo fino a che punto tutto questo fosse corretto. Insomma, era davvero giusto imporre ai miei cari la mia scelta?
Lentamente, le grandi convinzioni che mi guidavano all’inizio, iniziarono ad affievolirsi.
Chi ero io, cresciuta a cotolette impanate, Sofficini e polpette, per decidere di privare i miei bambini dei gusti classici e tanto amati dai piccoli? Avevamo anche scelto di lasciarli liberi di scegliersi la religione e ora gli imponevo questo?
Dopo attenta riflessione decisi di inserire di tanto in tanto qualche porzione di cibi classici scegliendo però formaggi, uova e carni rigorosamente biologiche e a kilometro zero, sollevando un nuovo polverone famigliare.
“Questi ti costano come un leasing!” mi diceva mamma che di macellai ormai se ne intende. Io sorridevo, celando la voglia di percuoterli con cotenne biologiche, a quasi “zero emissioni di Co2”, e cercavo di spiegare loro che della macchina nuova me ne sarei fatta ben poco, mentre rispettare la natura e la salute dei miei figli mi aiuta ad avere una vita più rilassata.Papà, che fra i miei genitori é il più melodrammatico, scuoteva la testa nella quale sicuramente rimbalzavano frasi del tipo: “l’abbiamo cresciuta come sua sorella, dove avremo sbagliato?”
Per fortuna una sera come tante passate sul web in compagnia dell’amico Google incappai in un gruppo di vegani moderati, che gioia! Persone gentili e disponibili mi insegnarono quanto fino a quel momento fossi stata poco fantasiosa nelle mie scelte alimentari, che di lenticchie non ci sono quelle di Capodanno o in scatola, che ce ne sono di tantissimi colori (un po’ come gli smarties) e che sono facili da cucinare, sane e piene di proteine. I ceci, che conoscevo solo per fare l’humus e impressionare i miei invitati con un piatto di provenienza estera, diventarono un ingrediente indispensabile in dispensa, così come altri preziosi e nobili alimenti vegetali che non avevo mai pensato di prendere in considerazione, e dei quali ora non potrei più fare a meno! Mi riscuoto dai ricordi alzandomi dalla panchina, che tempi! Da un iniziale veganismo estremo a una fantasiosa e serena scelta etica a sforzo zero.