“Desula”, imparare dalle donne del passato
Giancarlo Casula, originario di Desulo, vive e lavora a Cagliari come ingegnere. La tecnicità del suo mestiere non ha mai frenato la sua curiosità e nemmeno la passione di raccontare, tramandandole, le storie. Per questo motivo Giancarlo ha deciso di scrivere un libro. Un percorso durato diversi anni, ma che è oggi pronto a dare i suoi frutti: far conoscere al mondo la realtà particolare di donne del centro Sardegna vissute a cavallo tra Ottocento e Novecento. Infatti, il suo libro “Desula” è un omaggio alle donne del suo paese, ma anche ai loro modi di comunicare attraverso un alfabeto dei segni scritto sui propri abiti. Rivista Donna l’ha intervistato per voi per saperne di più.
Hai dedicato un libro al tuo paese e alle sue donne. La prima cosa che colpisce è, infatti, il titolo, “Desula”, al femminile. Raccontaci la scelta di questo titolo.
La scelta del titolo nasce con l’inizio del mio lavoro, che io coltivo da una vita. Il libro serve come una testimonianza, perché il periodo che stiamo vivendo è un vero e proprio spartiacque storico e il cambiamento è sempre più veloce. “Desula” al femminile può sembrare un po’ provocatorio, però dà subito la sensazione che in qualche modo c’entrano le donne. Il titolo inquadra subito il lettore nell’ottica femminile. In realtà Desulo, in passato, era chiamato così da tantissimi altri paesi, sia in Barbagia che nel Sulcis. L’idea di una lettura al femminile deriva anche dal fatto che il toponimo dovrebbe essere Desula, perché ricorda in qualche modo che era il paese delle donne. Gli uomini partivano per la transumanza, per evitare il freddo, oppure andavano in giro per la Sardegna a vendere i propri prodotti artigianali; le donne rimanevano sole, a casa, con i vecchi e i bambini. Non solo badavano a loro, ma gestivano anche la produzione agricola, raccoglievano le provviste (soprattutto le castagne), prendevano l’acqua incamminandosi, scalze, con una brocca sulla testa verso la fontana più vicina.
Tua madre ha 89 anni e indossa ancora l’abito tradizionale. Quanto ha contato per te questo fatto nella decisione di scrivere un libro sì sulle donne, ma anche sul costume di Desulo?
Per chiunque ha avuto una mamma col costume l’influenza è forte. La mamma non è solo la mamma: è un’icona, è un qualcosa quasi di sacrale. Col vestito, mamma non è più solo una donna, ma è qualcosa di più: è un monumento. Il fatto che lo indossi, porta ad avere con lei non solo il rapporto di affetto tra madre e figlio, ma diventa una questione maggiormente delicata e profonda. C’è una sorta di “distanza” tra noi e loro, perché l’abito le da una rappresentazione più importante: il vestito tradizionale è una piattaforma che te la porta a un altro livello, più elevato, diventa un pezzo di storia.
Nel tuo libro son in particolare cinque donne a essere sotto i riflettori. Chi ti ha raccontato le loro storie e quanto hanno influito su di te?
Me le ha raccontate tutte mia mamma. Però io già da bambino cercavo di interpretare i segni. La loro lettura mi è sempre apparsa strepitosa. Raccontando queste storie, ho spesso trascurato il particolare che è ulteriormente spettacolare, appunto perché voglio che le storie di donne comuni possano risultare interessanti anche all’estero. Tutta l’importanza della semiotica e del linguaggio delle donne è solo l’inizio: nel mio libro faccio più che altro accenni in modo da provocare la lettura e l’interesse. Infatti, credo fermamente che le storie di queste donne e la loro capacità di comunicare attraverso i segni siano di immenso valore non solo per Desulo, ma per l’umanità tutta. Anche la scelta delle foto che accompagnano queste storie è importante perché voglio che il libro sia letto intellettualmente, piuttosto che fisicamente, perché ci si proietti nella grandezza di quegli anni e di quel mondo che oggi viene spesso considerato arretrato. Inoltre, quando parlo dei personaggi femminili, accordo le foto in modo da mettere in risalto lo sguardo delle donne, la loro sensualità. I primi piani servono a questo.
Perché hai scelto queste storie?
Le ho scelte per vari motivi. Volevo fare una descrizione di questa società non di maniera, ma provocatoria in qualche modo. Alle donne in generale si da il contentino e questo non va bene. A esse spetta il ruolo che le appartiene. Molti hanno scritto sul mio paese, ma nessuno ha dato rilevanza alle donne, che invece erano e sono in primo piano. Io cerco di descrivere il mio paese usandole come chiave di volta: parto da molto lontano e seguo un filo logico. Ho scelto queste donne per dare una sequenza storica alla narrazione. Parto dall’Ottocento per mostrare poi i cambiamenti del Novecento. L’audacia, la pazienza e la rettitudine di questi personaggi femminili è esemplare in ognuno dei cinque racconti. Parliamo del loro habitat: Desulo, un paese isolato, che ha portato però anche a un’ottima conservazione della tradizione. Inoltre queste donne ricordano quelle cretesi: come loro, rimanevano solo mesi e mesi mentre l’uomo partiva per lavoro e il loro abito non era semplice, ma molto ricco, a simboleggiarne, appunto, l’importanza. Nel periodo neolitico la donna era importantissima, poi la storia è un po’ cambiata a loro sfavore. In alcune parti, però, si è mantenuta la tradizione dell’importanza della donna. E qui il costume è più importante e più ricco: ci sono esempi di questo tipo anche, ad esempio, nei Balcani. Anche a Desulo l’abito maschile non è tanto importante come quello femminile.
Donne fiere e autonome, ma soprattutto instancabili lavoratrici: quanto ti hanno insegnato in termini di educazione da impartire a tua figlia?
Io prima di tutto son stato molto fortunato perché ho una moglie meravigliosa. Mia figlia l’ho cresciuta un po’ a briglie sciolte, quindi lei non è timida e vive con molta libertà i rapporti, anche quelli con Desulo. L’ho abituata all’amore per il mio paese proprio affascinandola con queste storie.
Il libro descrive nel dettaglio l’abito tradizionale e i segni che questo portava e che comunicavano lo stato della donna che lo indossava. Raccontaceli.
Il costume di Desulo ha, grazie all’elaborazione culturale delle donne, tutti i segni della semiotica che vanno dal segno al significato, ma anche alla metafora, all’allegoria. Ha una varietà di messaggi che il mio libro descrive, ma è solo l’inizio. È un’articolazione complessa e raffinata. Rivela tutta una preparazione culturale delle donne, molto profonda, ma anche la complessità della società desulese. Ci sono molte storie che non ho inserito nel libro. Non solo i segni ricamati sul costume hanno un significato o un’utilità, ad esempio quella apotropaica, ma anche i colori del vestito esprimevano lo stato della donna e ciò che si aspettavano gli altri. Ad esempio, l’abito della donna vedova si tingeva di nero; tuttavia, una donna che si risposava (pratica usuale ai tempi) non poteva andare all’altare vestita a lutto, per cui alcune parti del suo vestito diventavano color vinaccia, in questo modo si esprimeva la gioia per il nuovo sposo pur non tradendo la memoria del precedente marito (v. foto sotto). Oltre a questo, anche il modo in cui veniva indossato il vestito (dalla parte giusta o al contrario) era una comunicazione agli altri. Tutti questi sono messaggi subliminali che solo le donne tra loro potevano capire. La donna che racconto è comunque molto religiosa, ciò che dice lo dice davanti a Dio, quindi non è una bugia: il documento che porta addosso è talmente vero che ci va in chiesa. D’altra parte non è una donna vendicativa, ma mostra il suo dolore o la volontà di far pace con una persona offesa attraverso l’abito. Le donne avevano una complessità e profondità morale che si vede perfettamente in questo trasferimento di messaggi. Possiamo affermare che utilizzavano il vestito come un libro, che parlava più delle parole, e la grandiosità della loro espressione non trova paragoni.
Oggi il mondo cambia in fretta e da tante parti si stanno perdendo numerose tradizioni. Tra queste c’è il fatto che nel giro di pochi anni nessuno saprà più non solo ricamare, ma anche tagliare e cucire l’abito tipico di Desulo. Come rimediare?
Noi abbiamo un vero e proprio problema culturale. Se non ricosciamo questo aspetto, non riusciremo a dare forza a tutta una serie di problemi che sono anche economici e civili. Le generazioni attuali non hanno nessuna colpa, perché non conoscono le preziosità che hanno. Tutto questo li porta a cercare altrove la soluzione ai propri problemi. Immaginiamo quant’è prezioso il lavoro di una sarta che tramanda la tradizione del costume di Desulo oggi: un vestiario così prezioso, in altre parti del mondo, si può trovare sì a corte, ma difficilmente a livello popolare. Quindi la questione della perdita di queste preziosità è culturale, ma anche economica. Sarebbe bello, infatti, se venissero recuperati dei finanziamenti per far partire dei corsi per imparare a cucire l’abito tradizionale e a tramandare, dunque, questa importante parte della nostra cultura. È un intervento urgente perché le ultime donne rimaste che sanno fare il costume possono dare ancora pochi anni della loro vita prima che se ne vadano. Quante persone disoccupate ci sono? E quanto lavoro potrebbe portare quest’arte? Tra l’altro il costume di Desulo, essendo unico, si potrebbe vendere anche in altre parti del mondo per la sua preziosità. Basta pensare che abbiamo oro in mano.
Nel tuo libro ci son tanti richiami a popoli lontani (i berberi, i kirghisi, tibetani, masai, ecc). Il tuo è uno stimolo alla ricerca di legami tra queste popolazioni e quelle barbaricine? Chi avrà il compito di portare avanti la ricerca?
La cosa bella di questi passaggi è che creo percorsi culturali con parti e popoli di altri mondi. Son cose che ho visto personalmente, seguendo le fila culturali del costume femminile di Desulo (ecco ancora come la donna del mio paese mi ha spinto alla ricerca). La cultura è uno scambio di informazioni: si elabora e approfondisce partendo da questo scambio, recepisci una serie di segnali e poi li riorganizzi facendone un tuo discorso. Fondamentalmente è ciò che ho fatto io con la mia pubblicazione. Un libro non è solo ricerca, ma un’elaborazione di tante cose viste. Credo che sia questa la cultura, non l’accettazione dogmatica delle cose. La mia è una provocazione che sta nel fatto che nella ricerca si sviluppa il sapere, nella ricerca e nell’elaborazione si sviluppa la cultura. Non ho nel mio animo la sicurezza delle cose, però ho fatto delle riflessioni e riporto la mia testimonianza. Una delle cose più importanti della vita è aver dato una propria risposta alle cose.
Nel tuo libro ci sono tante poesie scritte in sardo e firmate da donne. Tuo nonno è stato un grande poeta. Credi che lo scenario poetico, e quindi culturale, sia stato dominato solo dagli uomini in passato?
No, al contrario io credo che, almeno a Desulo, il mondo della poesia sia stato dominato dalle donne. La poesia degli uomini, pur essendo bellissima, come ad esempio la tradizione orale estemporanea, è diversa da quella femminile. La poesia della donna ha aspetti più particolari. Ad esempio nel libro ce n’è una che descrive un sogno: sono temi che trovi nella poesia francese e ti fa capire quanta profondità c’era negli animi di queste donne. Esse sviluppano una poesia ancestrale, come “is attittos” per i morti o le poesie d’amore: hanno un campionario di temi superiore all’uomo. Inoltre, ai tempi, tramandavano oralmente ed erano bravissime anche loro a improvvisare. Il poeta uomo riprendeva spesso la dolcezza tipica delle donne, interpretandola in maniera maschile, come la “Ninna nanna de Anton’Istene”. Qui Montanaru riprende una pratica femminile, quella di cantare la ninna nanna al proprio bambino, rendendola al maschile, in questo caso elencando tutti i doni che un padre farebbe a un figlio maschio. Questo è solo un esempio, ma la dolcezza descritta nella poesia maschile prende tanto dall’animo delle donne. Diciamo che Montanaru, come gli altri, ha respirato l’aria della poesia femminile di Desulo.
Il tuo libro lancia una chiara sfida: quello di essere capito all’estero. Ma quanto è importante che prima sia capito qui? Quanto sa il sardo della Sardegna, il desulese di Desulo e la donna di Desulo delle sue ave?
Uno dei problemi nostri è che il più delle volte la storia è fatta e letta da pochi. Questa situazione va modificata. Noi dobbiamo portare la nostra cultura all’interesse di un mondo più esteso. Il libro è strutturato per essere tradotto ed esportato. È un mio dovere, non un aspirazione personale: è una testimonianza e un grido di allarme di un mondo che sta sparendo. Così come le donne trasferivano il messaggio col loro costume, io lo tramando così, lo porto all’attenzione degli altri. Lo sforzo è nel farglielo capire. Noi dobbiamo appropriarci di molte cose che abbiamo abbandonato, in primis le nostre mamme, che abbiamo accantonato come oggetti vecchi e superati quando invece sono molto più raffinate e interessanti della generazione dei laureati. Questo patrimonio dobbiamo far sì che venga trasmesso. Il libro può essere tradotto pur mantenendo tutte le preziosità che possiamo esportare: la nostra cultura, compresi vestiti e conoscenze. Così facciamo in modo che non si perda, che venga riconosciuta e che attiri la curiosità di altri studiosi e, soprattutto, che venga valutata per quello che è: una cultura antica e di immenso valore.
Hai descritto minuziosamente il ruolo della donna nel passato. Qual è, secondo te, il ruolo della donna oggi?
Riparto dal passato. Quando descrivo la donna di Desulo, la descrivo come emancipata. Questa emancipazione era una di quelle qualità che veniva richiesta dall’uomo. Oggi la donna emancipata fa paura perché in qualche maniera l’uomo non ne detiene il potere. Viceversa la donna che io descrivo è forte, autonoma ed per questa ragione che viene scelta. Lei doveva stare anche cinque/sei mesi da sola, come abbiamo visto. Quindi, se non era indipendente e coraggiosa, era inutile sposarla perché diventava una complicazione in più. La donna doveva essere, ed era, autonoma, sveglia: aveva il compito di amministrare i soldi dell’uomo e tutto quello che portava a casa; era una fedele compagna, amministratrice dei beni ed emancipata; era una grande lavoratrice e una mamma spettacolare. Tutti questi fattori che la donna e la società di oggi vanno cercando, un tempo c’erano. La donna emancipata esisteva, seppur fosse un tempo di miseria, chiuso e pieno di problematiche, però il ruolo era quello: la donna aveva queste caratteristiche. Poi c’è un altro aspetto che mi preme sottolineare: un uomo sceglieva la donna per i motivi elencati sopra, ma anche perché era bella e si innamorava; non era un fatto strettamente pratico o di convenienza. Era una scelta libera, anche se veniva presa in considerazione la famiglia e la provenienza o il fatto che fosse una vicina di casa. Tuttavia, il punto è questo: ciò che aveva la donna di Desulo del passato è l’aspirazione della donna moderna.
Cosa può imparare la donna d’oggi dalle storie delle donne del tuo libro?
La donna d’oggi ha da imparare tutto da queste storie del passato. Certo, quello era un mondo di grandi sacrifici: non c’era acqua, né i bagni; il freddo era un gran problema, le condizioni igieniche erano terribili; loro camminavano scalze, prendevano facilmente tante malattie, così come il parto era pericoloso. Era un altro mondo, dove la donna aveva un ruolo fondamentale: era determinata ed emancipata, viveva forse in miseria, ma aveva tutto ciò di cui aveva bisogno e amava il suo uomo così come era. Stava bene una donna di questo tipo. Anche l’uomo si sentiva gratificato di avere una donna tanto autonoma e coraggiosa, non la voleva diversa. Da questo punto di vista la società aveva una convergenza di intenti. Oggi uomo e donna non si capiscono e non si aiutavano molto a vicenda.
E poi ho un messaggio per tutte le donne: puntate molto sulla cultura, perché la cultura cambia le cose, cambia la visione del mondo. E noi, a Desulo e in tutta la Sardegna, abbiamo cultura da vendere e non abbiamo bisogno di copiare da nessuno.
Daniela Melis