Adele Loriga, una vita al servizio degli altri per donare ali nuove

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Una rara sintesi di qualità molteplici, il cui comune denominatore è la dedizione verso gli altri, dove la profondità del senso si sposa con la semplicità del dono. Una donna dalla straordinaria sensibilità, una sensibilità non comune, fuori dall’ ordinario. Pedagogista, scrittrice, poetessa, illustratrice e operatrice sociale. Adele Loriga, anima di Casa Serena, la casa di riposo per anziani di Sassari dove svolge il ruolo di Pedagogista ed Educatrice e responsabile dell’ animazione e tutoring nelle attività socio educative.

Donna di classe, dal portamento deciso ed elegante che quasi intimorisce dalla sicurezza che emana, due occhioni grandi che sembra ti leggano dentro, un bicchiere di plastica di caffè tra le mani e la sensazione di essere circondate da un’ intima atmosfera di calda serenità. Lei è a tua completa disposizione, quasi dissociata dalla realtà in cui è immersa per dedicarsi a ciò di cui hai bisogno tu che le siedi dinanzi. E da quel momento in poi le parole scorrono e tu non puoi far altro che sentirti onorata e grata per averla incrociata nel tuo cammino… e non ti resta altro da fare che goderti la magia della sua voce e di ciò che ha da dire e da insegnare, con la sua tenacia e forse eccessiva umiltà.

Una vita dedicata al sociale, al servizio degli altri, a donare sorrisi, a dare una pacca per far ergere delle spalle ormai stanche di stare su. Come è cominciata la tua dedizione?

Nasco pedagogista, con una formazione sulle scienze sociali, sulle quali ho fondato la mia tesi ed era mio intento da sempre lavorare in quell’ ambito. Ho insegnato storia e filosofia nei licei, poi nel ’91 iniziai proprio il servizio sociale a Sassari (dove era presente solo una figura) insieme ad altri 10 pedagogisti. Coordinati da una buona guida siamo andati a lavorare sul territorio, nelle zone più a rischio della città, in aree dove il disagio era la parola d’ ordine, un disagio non solo economico ma anche esistenziale. Lavoravamo a domicilio presso le famiglie che ci venivano segnalate. Posso dire di aver incontrato la vera povertà. Il primo caso che mi fu affidato fu quello di una famiglia multi-problematica a cui erano stati tolti dieci figli tutti in una volta. Il nostro compito fu quello di fare in modo che questi bambini venissero rimessi all’ interno della loro casa, con la famiglia d’ origine che aveva bisogno di una guida e di un programma di “rieducazione”. E’ stato davvero un programma complesso.

Tutto questo fino al ’96, anno in cui Casa Serena mi stravolse completamente la vita… fui assunta con un contratto part-time come Pedagogista.

Cosa successe da quel momento in poi? Com’ era Casa Serena 20 anni fa?

Arrivammo tutte e dieci pedagogiste perchè la struttura aveva un forte bisogno di essere rivitalizzata. Non potevi lasciare le persone nella loro inerzia, avevano bisogno di essere impegnate nel quotidiano. Vedevi persone ripiegate su se stesse, con una inevitabile tendenza alla depressione, con una “VITA NON VITA”. Allora arrivammo noi e la rivoluzionammo. E non parlo da un punto di vista fisico, ma dell’ anima…Io misi a disposizione di questa casa i doni che il Buon Signore mi diede e le più svariate attività come la pittura, il canto, la ginnastica solo in seguito e il teatro. Sì, il teatro e su questo premo molto, poichè è una di quelle cose che abbiamo fatto subito perchè restituisce un ruolo. Ti da la parvenza di essere ancora te stesso e di poter tirar fuori una realtà che non è la tua e che però diventa tua, anche attraverso le parole degli altri. Iniziammo a riempire le loro giornate nel quotidiano, col disegno, la pittura, il decoupage, il canto e il teatro. Un impegno giornaliero in modo che avessero attraverso questo la motivazione che la giornata fosse piena.

Che tipo di miglioramenti avete riscontrato?

I miglioramenti si sono visti quasi subito. Io batto molto sul concetto di vecchiaia attiva e motivata. Da persone che non avevano più un ruolo a protagonisti della propria vita. Il pubblico viene a vederli durante le serate che organizziamo e questo per loro rappresenta uno stimolo poichè riescono a dimostrare che pur avendo tanti anni alle spalle sono ancora in grado di fare e dare qualcosa a chi li guarda.

Qual’ è il ricordo più bello di questa esperienza?

Di sicuro alcune persone che sono dentro di me e rimarranno indelebili. Dei talenti puri, grandi impulsi di vita, anche grandi abbandoni alla vita però sempre con il senso di un recupero. Una persona di cui posso parlare e che continua a farmi commuovere veniva da un’esperienza carceraria. Io l’ ho saputo verso la fine ed era di una generosità, di una purezza d’animo, di una geniosità oltre i limiti. Lo porto come esempio. Non è vero che non possiamo redimerci, tutti possiamo redimerci.

Un lavoro che ti tiene impegnata tutto il giorno e che spesso immagino non sia semplice lasciarsi alle spalle una volta che valichi la soglia di casa. Com’ è Adele fuori di qui?

E’ un lavoro che mi impegna tutto il giorno, sempre. Me lo porto a casa, purtroppo non è professionale, è diventata una missione, non puoi non portarti a casa un problema che vedi, una vita che magari può interrompersi e che tu vorresti che proseguisse. Non puoi dimenticare. L’ impegno prosegue. C’è sempre una crescita personale in tutto questo. Feste, canto, ballo, poesie, teatro, vite che si spengono, persone che ritornano. Io finchè avrò cento anni continuerò e avrò ancora voglia di combattere.

“Adele…con qualcosa che vale…”, un libro che ti vede protagonista, una raccolta di testimonianze di chi ha avuto la fortuna e l’ onore di incrociare il tuo cammino. Un libro scritto dalla giornalista Rita Meloni, alla quale tu non hai potuto dire di no, fermamente convinta che tu avessi una marcia in più in quanto riesci a cogliere l’ anima delle persone. E tutto questo non può non essere pubblicato perchè ti definiscono come colei che ha regalato a tante persone nuove ali.

Con Rita ci siamo trovate sulla stessa lunghezza d’ onda. Lei si meravigliava di come io potessi condurre le serate a Casa Serena in cui tutto combaciava perfettamente con tanta semplicità e naturalezza.

Un giorno mi disse che avrebbe voluto scrivere qualcosa su di me ed io le risposi che non me la sentivo perchè odio essere protagonista e questa era una cosa che mi avrebbe imbarazzato parecchio. Lei disse: “Non preoccuparti, faccio tutto io”. E così grazie a internet e a mio marito ha contattato tutti i nomi con cui ho rapporti sociali e culturali.

Mi accorgo che il suo viso cambia luce appena nomina il marito, il suo sguardo si rilassa, quasi come se in quel momento ci fosse la sua spalla per far si che si lasciasse andare. Chi la conosce non può fare a meno di associare il suo nome a quello di Bettino Camoglio, suo marito, pilastro portante per gli ospiti di Casa Serena.

Mio marito è orgoglioso di me e di Casa Serena, mi appoggia in tutto quello che faccio, in tutto e anche di piu… se non ci fosse lui non esisterei probabilmente.

Il giorno della presentazione del libro, talmente era grande l’ emozione e l’ imbarazzo perchè odio essere celebrata , ho sentito la necessità di dissociarmi da quella situazione. Ero la spettatrice del mio film, una sensazione stranissima, ma necessaria. Quella giornata l’ ho dedicata a una mia amica che è morta, Adriana Innocenti, leonessa del teatro italiano. Non amava le grandi feste, non amava essere celebrata.

 

_MG_1080di Ilaria Rundeddu