Barbara Crisponi, giovane soprano: “La musica è tutto nella mia vita”
Barbara Crisponi è una giovane e talentuosa soprano. Diplomata in canto con il soprano Elisabetta Scano, ha seguito masterclass tenuti dai soprani Katia Ricciarelli e Montserrat Caballé, Giusy Devinu,. Risale al 2013 il debutto solistico al Teatro Lirico di Cagliari, nel ruolo di Caterina, ne L’amico Fritz di Mascagni. E’ stata diretta, da Riccardo Muti, collabora con Fondazione Teatro Lirico di Cagliari. Attualmente conduce un’intensa attività concertistica e teatrale in Italia e all’estero. Un suo sogno è poter cantare, da solista, die Auferstehung di Mahler, una delle sinfonie che ama di più, a Berlino.
RivistaDonna l’ha incontrata per voi…
Barbara ti sei diplomata in canto con Elisabetta Scano e hai frequentato masterclass con Katia Ricciarelli cosa ricordi di quelle esperienze?
Il primo insegnante di canto è un po’ come il primo amore, non si scorda mai, ma è anche un po’ come un genitore nei primi anni di vita: ti insegna a muovere i primi passi, ti segue in ogni momento, pronto a sostenerti, correggerti o incoraggiarti. Nel mio caso, non ringrazierò mai abbastanza Elisabetta Scano per avermi insegnato, pazientemente, che la voce è uno strumento che va plasmato e curato con amore ogni giorno. Tra i suoi preziosissimi suggerimenti c’è sempre stato quello di farsi ascoltare da altri cantanti o da altri insegnanti, perché non si smette mai di imparare o di scoprire nuove possibilità vocali. Il corso con la signora Ricciarelli è stato davvero interessante ed emozionante, abbiamo lavorato in un clima rilassato ma, allo stesso tempo, ad un ritmo molto serrato su diversi aspetti musicali e tecnici, e confrontarsi con una cantante della sua esperienza mi ha invogliata ancora di più a studiare e trovare nuovi punti di vista interpretativi.
Quali paure, quali emozioni?
Cantare equivale a mettersi completamente a nudo, e questa è stata la primissima paura da affrontare, soprattutto dopo aver cantato in coro – quindi con la forza del gruppo – per anni. O ancora la paura di non essere mai abbastanza pronta, nonostante le ore di studio. Ma quando alla paura subentra la concentrazione, tutto si sistema, e le emozioni che regala il canto mettono qualsiasi paura in secondo piano. Anche quando ti ritrovi a cantare in uno stadio, davanti a più di ottantamila spettatori..
Ma le emozioni superano sempre le paure: emozione è vedere tua madre con gli occhi lucidi, in mezzo al pubblico, mentre canti uno dei brani che ami di più; emozione è vedere il pubblico che muta espressione al mutare del carattere del brano che stai eseguendo; emozione è respirare e cantare.
Sei stata diretta dal Maestro Riccardo Muti. Cosa hai appreso da lui?
Lavorare col Maestro Muti è una fortuna che auguro a qualsiasi musicista o cantante. Io ho avuto occasione di lavorare con lui a Salisburgo e, successivamente, a Ravenna, Trieste e Nairobi, col coro padovano “La Stagione Armonica”, e ogni giorno è una nuova lezione ed una nuova scoperta. Il Maestro è un grande estimatore ed esperto verdiano, quindi lavorare con lui su quel repertorio ti porta, non solo ad amarlo ancora di più, ma anche a scoprire piccoli dettagli che fanno la differenza rispetto a tante altre, stimate, letture. Con lui, anche le cose più semplici, o le partiture meno visitate (come ad esempio la Missa Defunctorum di Giovanni Paisiello o il Requiem di Luigi Cherubini) prendono nuova vita, e diventano dei capolavori.
Collabori con l’orchestra sinfonica Nazionale Rai. Cosa hai provato quando hai saputo di poter collaborare con loro?
La mia prima produzione in Rai è stata nel maggio 2007, la Matthäuspassion di Johann Sebastian Bach, diretta da Helmuth Rilling (uno dei più autorevoli interpreti della produzione bachiana), nel coro torinese “Ruggero Maghini” e, nonostante siano passati 9 anni, ricordo ancora l’emozione della prima prova in sala con orchestra e direttore. Una musica travolgente, eseguita a livelli altissimi: sembrava un sogno. Da quel giorno ci sono state tantissime altre occasioni lavorative, tra cui una tournée in Spagna col Maestro Juanjo Mena, in cui mi son sentita davvero fortunata a poter fare musica con un’orchestra di tale livello musicale e professionale. Una volta la Rai disponeva anche di un coro stabile, ma l’investimento economico culturale del nostro Paese ha portato inevitabilmente al suo smantellamento.
Come si svolge il lavoro in una l’orchestra?
Lavorare con l’orchestra è soprattutto un lavoro di cesellatura, tante anime che devono diventare un unico strumento sotto le mani del direttore d’orchestra. E’ un lavoro di gruppo che richiede grande impegno da parte di tutti, coro, orchestra e solisti. E’ un lavoro dove dialogo e interazione sono delicatissimi e necessitano di grande ascolto da parte di ognuno. Cantare con accompagnamento pianistico è bellissimo, ma cantare con l’orchestra rende tutto ancora più magico.
Hai rappresentato l’Italia al Rugby World Choir in Australia… come hai avuto l’occasione di partecipare a questo evento?
Mi trovavo a Roma per una sessione di lavoro col Coro Giovanile Italiano e, durante una prova, ci è stato proposto di fare un’audizione per l’Australian Rugby Union, la quale stava selezionando una coppia di cantanti da ogni Nazione partecipante alla Rugby World Cup che si sarebbe tenuta di lì a 3 mesi. Ci è stato chiesto di mandare una registrazione video in cui cantavamo un’aria, il nostro inno nazionale, e una breve presentazione del nostro curriculum, in inglese. Alla fine siamo stati scelti io e il collega romano Simone Gentili. In un paio di giorni, ci siamo trovati immersi in una realtà musicale completamente diversa da quella italiana: una sorta di coro “multicolor” con altri cantanti provenienti da ogni continente, con culture e background diversi, guidati da una direttrice d’eccezione come Lyn Williams, e tutti con una grande voglia di cantare e respirare il più possibile quell’atmosfera gioiosa che solo il coro sa regalarti. Son stati due mesi di lavoro duro ma anche di piacevole permanenza in un continente visto sempre e solo nei documentari, altri punti di vista, altri sapori, ma soprattutto tanti nuovi amici – con cui ci si tiene tutt’ora in contatto – sparsi per il globo. Un’esperienza davvero unica.
Cosa rappresenta per te la musica?
La musica è tutto nella mia vita. Dai primi anni di vita fino ad oggi non è mai mancata la musica in casa, a partire dalle ninne nanne, passando per le filastrocche cantate dalla mia nonnina, le canzoni cantate da mia madre, fino ad arrivare alle musicassette (!!) di musica classica, che inizialmente detestavo, che mio padre metteva durante i tragitti in macchina. Diciamo che la passione per la musica è stata incentivata soprattutto da lui, grande amante della chitarra e dell’opera lirica, e mio “telecamera-man” personale (così l’hanno sempre definito, scherzosamente, i miei amici e colleghi del coro, per il fatto che non si perdesse neanche uno dei miei concerti, rigorosamente con la telecamera in spalla, così che potessi poi riascoltarmi il concerto anche io, con comodo, a casa). Quando ho chiesto di poter studiare seriamente musica, i miei genitori non erano altrettanto convinti: a 10 anni ci son tanti sogni, e lo studio di uno strumento sarebbe stato un impegno, a livello di sacrifici economici ma anche di tempo libero. Non potrei mai quantificare le ore passate a studiare pianoforte, anche solo per il piacere di mettermi a suonare dopo una serata infinita di compiti per la scuola, e non rinnego neanche per un attimo tutte le rinunce e la fatica fatta per arrivare a diplomarmi o per specializzarmi. La musica scandisce la mia giornata, i miei pensieri, e accompagna qualsiasi attività, ma non solo con opera o repertorio sinfonico, ascolto moltissimo jazz, adoro il musical, ma non mi faccio mancare anche Pink Floyd, Beatles o Antonio Carlos Jobim. Come disse un giorno una mia carissima amica, “c’è troppa bella musica al mondo, e troppo poco tempo per conoscerla tutta”.
E il canto?
Il canto è mia croce e delizia fin dalla tenera età. Non sapevano come farmi stare zitta, quindi mi hanno messo sotto mano una tastiera Bontempi, perché sfogassi lì (possibilmente con le cuffie!!) il mio estro musicale. Poi a 12 anni si è presentata l’occasione di cantare in un coro di voci bianche, per la Carmen di Bizet, e poi nel “Coro del Centro Universitario Musicale” di Cagliari, e da lì non ho mai più smesso di cantare (per la gioia di parenti e vicini di casa). Iniziare lo studio del canto è stata un po’ una scommessa: ho iniziato soprattutto per curiosità, per capire come poter conservare la voce il più a lungo possibile, nonostante le ore di prove in coro e i diversi generi musicali cui mi dedicavo (in quel periodo, oltre il coro polifonico, facevo parte anche della compagnia di musical “Divadlo”, e cantavo nel coro gospel “Black Soul”). Alla fine ho dovuto fare una scelta, e ho deciso di rimanere sul genere più affine al mio carattere, ma la mia curiosità musicale mi porta sempre e comunque a non fermarmi solo ad un’unica strada. Al momento, infatti, faccio parte dell’Ensemble Vocale Kor, un quintetto professionale di pianisti-cantanti, di particolare duttilità musicale, con cui c’è il piacere di divertirsi facendo qualsiasi genere musicale, spaziando dalla canzone anni 30, passando per il “contemporary a cappella” (ad esempio La Primavera di Vivaldi, fatta con le sole voci), senza disdegnare colonne sonore, swing anni ’50, musica contemporanea, opera o brani inediti, scritti da noi stessi componenti del gruppo.
Come ci si prepara la voce prima di salire sul palco?
L’attività del cantante è paragonabile a quella dell’atleta, bisogna essere sempre in forma, preparati musicalmente e fisicamente all’impegno che si sta per affrontare. Chiaramente, in base alla situazione fisica o a ciò che si deve eseguire, cambia anche il tipo di “riscaldamento”, che è una cosa molto soggettiva. Per me, mentalmente, l’impegno musicale inizia dalla sera prima, cerco di riposare il più possibile e rilassarmi. Al mattino arriva anche l’impegno fisico: qualche esercizio per il fiato, un po’ di vocalizzi per iniziare a mettere a fuoco la voce. Se poi il concerto, o la recita, è in tarda serata, un pranzo leggero, ripasso su spartito, di nuovo vocalizzi, e via. Ma, come dicevo prima, ci son tante variabili, e alla fine si tratta di un “rito” molto soggettivo: c’è chi non parla per tutto il giorno, fino all’inizio del concerto, chi parla moltissimo o canta fino a un secondo prima di andare in scena, chi preferisce prepararsi solo leggendo lo spartito come fosse un libro.. con l’esperienza, ognuno acquisisce un proprio metodo o una propria routine.
Quante ore dedichi allo studio di queste discipline?
Diciamo che non c’è un numero stabilito di ore. Ci son giorni in cui il corpo risponde meglio, e allora si riesce ad andare ad oltranza (e magari studiare mattina e sera). Altri in cui è bene chiudere gli spartiti e fare una bella passeggiata al parco per schiarirsi le idee, rilassarsi, e poi riprendere a studiare. La voce è uno strumento molto delicato, non è possibile studiare troppe ore di seguito, e spesso il lavoro mentale è già un grande supporto al lavoro fisico (comunque sempre necessario), senza dover necessariamente cantare in voce. Da questo punto di vista, quando studiavo pianoforte era più facile dimenticarsi dell’orario e andare avanti per ore, senza problemi.
Che emozioni vuoi trasmettere a chi ti segue?
Quando studio un’aria o, in generale, un brano nuovo, mi lascio trasportare molto dalle emozioni che mi trasmette la musica che sto studiando, e vorrei arrivasse sempre l’emozione che il brano stesso suscita in me. Non è sempre facile perché bisogna lavorare moltissimo per raggiungere la padronanza tecnica che ti permetta di far “tua” quella musica, superato quel gradino, puoi dedicarti alle emozioni. Come già detto prima, cantare è mettersi a nudo, e credo che condividere col pubblico la propria emozione sia il regalo più bello che si possa fare/ricevere.
Hai un musicista o una cantante di riferimento?
Ho più di un cantante di riferimento perché da ognuno si può prendere spunto, imparare qualcosa o, semplicemente, trovare ispirazione. Dal punto di vista interpretativo ho sempre amato la Callas, ma nella mia formazione e nel mio gusto musicale hanno influito moltissimo anche cantanti come Montserrat Caballé (e cantare davanti a lei è un’emozione che non si può descrivere a parole), Giusy Devinu (che pure ho avuto come docente, e anche lei è stata un regalo preziosissimo), Mirella Freni, Jessye Norman, Joan Sutherland, Kiri te Kanawa e tantissime altre. Per la liederistica, il mio idolo assoluto è Dietrich Fischer–Dieskau.
Un sogno nel cassetto?
Poter cantare, da solista, die Auferstehung di Mahler, una delle sinfonie che amo di più, a Berlino.