L’eroismo della persuasione: Miguel de Cervantes
Quattrocento anni fa, mese più mese meno, usciva dall’officina madrileña di Juan de la Cuesta, stampatore allora assai noto, la prima edizione de Le peripezie di Persile e Sigismonda (titolo originale: Los trabajos de Persiles y Sigismunda. Historia Setentrional), opera postuma di Miguel de Cervantes de Saavedra. L’esistenza terrena di Cervantes si era infatti conclusa il 22 aprile del 1616.
Le esequie ebbero luogo il giorno seguente, sabato 23 aprile. Nei registri della sua parrocchia dove si svolse il rito funebre, la chiesa di San Sebastiano in Madrid, questa seconda data è riportata come quella della sua morte.
Questa circostanza ha dato luogo a un primo qui pro quo in merito all’effettiva data di morte di Cervantes. L’aver preso alla lettera quanto riportato dai registri parrocchiali senza tener conto del costume che vigeva in Spagna secondo cui la data ufficiale di morte era quella della sepoltura, ha fatto si – come scrive Jean Canavaggio nella biografia di Cervantes – che oggigiorno sia proprio questa seconda data (23 aprile) la più conosciuta e ricordata in Spagna ogni anno celebrando alla sua ricorrenza il Giorno del Libro.
Il secondo curioso fraintendimento, anch’esso derivante dalla diversità di leggi e di costumi, ma questa volta imputabile ai differenti calendari in uso nella Spagna e nell’Inghilterra di quei tempi, ha portato a ritenere coincidente nel 23 aprile 1616 il giorno del decesso di Cervantes e quello di Shakespeare, l’altro grande genio della letteratura mondiale scomparso in quello stesso anno.
In realtà, una differenza di circa dieci giorni era venuta accumulandosi dall’anno zero fino a quella fatidica data tra i calendari che in quel tempo impiegati in Spagna (il calendario gregoriano, che è quello a noi familiare) e in Inghilterra (il calendario giuliano, meno preciso e perciò abbandonato anche dal Regno Unito nel 1752). Mantenendo per fermo il calendario gregoriano ed effettuando i calcoli del caso la coincidenza viene meno, perché il giorno del commiato di Shakespeare dal mondo risulta posticipato al 3 di maggio.
Cervantes era ornai prossimo ai 59 anni, quando un male incurabile, per lo più riferito come idropisia, diagnosi ormai desueta dalla moderna medicina, pose fine alla sua vita a dir poco avventurosa, privandolo del piacere di veder tirata a stampa la sua ultima fatica letteraria.
Venne infatti a mancare solo dopo tre giorni dall’averne ultimato la dedica indirizzata con accenti toccanti a Don Pedro Fernandez de Castro, Conte di Lemos e Vicerè di Napoli, e quindi come d’uso di suo pugno ne riportò in calce la data: 19 aprile 1617. In quel giorno, un martedì di quattrocento e uno anni fa, Cervantes consegnò l’ultimo suo scritto alla posterità.
Il manoscritto passò a Catalina de Salazar y Palacios, vedova ed erede di Cervantes. Fu lei che con zelo encomiabile si accordò con l’editore (mercader de libros) Juan de Villarroel, incaricandolo di occuparsi della sua pubblicazione. Nel mese di dicembre di quello stesso anno tutti gli adempimenti preliminari, burocratici e fiscali, erano stati completati e fu possibile procedere alla pubblicazione del manoscritto, come di fatto avvenne, agli inizi del 1617.
Diversamente dalle aspettative, il libro non ebbe quell’accoglienza che la fama dell’autore del Don Chisciotte poteva far sperare.
Mentre per El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha le edizioni e soprattutto le traduzioni andavano moltiplicandosi consolidando le basi di un successo che già a quei tempi si era spinto oltre i confini della Spagna, Los trabajos de Persiles y Sigismunda sperimentavano il venir meno dei favori del pubblico e del sostegno della critica avendo in sorte il malinconico destino delle opere minori.
Pur non potendo reggere il confronto con l’intramontabile capolavoro che a tutt’oggi è tra i libri più letti e ristampati al mondo, Le Peripezie sono pur sempre il frutto dell’opera di un grande. Si può quidi essere d’accordo nel ritrovare in questo lavoro di Cervantes molti aspetti che lo rendono simile ad altri romanzi che circolavano in quel tempo, purché non si caschi in quel genere d’inganni che come si è visto in precedenza derivano dall’affidarsi troppo ingenuamente alle apparenze.
Se dunque si sta attenti come si conviene e si scuotono con pazienza le polveri che conferiscono al libro quella banale veste di uno tra i tanti romanzi rinascimentali in stile bizantino, si scorgerà infine la luce che proviene da un’invenzione letteraria sorprendente.
In quest’opera infatti Cervantes – scrive Carolyn Lukens-Olson – riformula il modus operandi dell’eroico cavaliere, scambiando la caratteristica figura dell’eroe armato di spada con quella di un eloquente e prudente oratore!
Maria Patrizia Floris