Intervista a Marco Eugenio Di Giandomenico, affascinante ambasciatore del made in Italy nel mondo
” Marco Eugenio Di Giandomenico è Dottore Commercialista, esperto di Economia, Management e Marketing della Cultura e dell’Arte, del Terzo Settore (in particolare Fondazioni, ONG, Consorzi e Cooperative), di Finanziamenti Pubblici, di Ambiente ed Energia, di Corporate Social Responsibility (CSR) e di media & entertainment.
Dal 1995 svolge attività di manager culturale (e di cultural project manager) al vertice di iniziative di comunicazione di taglio internazionale (manifestazioni culturali, festival cinematografici, congressi scientifici, mostre artistiche, etc.), per lo più miste pubblico-privato, nonché attività consulenziale di carattere aziendalistico, societario, contrattuale, finanziario e fiscale relativamente alla costituzione, alla gestione e allo sviluppo di importanti fondazioni culturali (anche nel settore della moda e dell’arte), alla produzione di audiovisivi (film, documentari, etc.) e di prodotti multimediali, alla valorizzazione territoriale, all’internazionalizzazione di aziende di eccellenza, alla promozione nel mondo (soprattutto negli USA, in Cina e a Monaco) di brand del made in italy (food & beverage, fashion, hospitality, design, etc.), al trading delle grandi opere d’arte e beni di lusso.
Marco Eugenio Di Giandomenico per le sue attività professionali può contare su un network, nel mondo della finanza, delle istituzioni, dell’imprenditoria e delle professioni, di più di mille contatti, tutti attivi, operativi e immediatamente coinvolgibili nelle varie progettualità.”
Nell’era delle nuove tecnologie Marco Eugenio Di Giandomenico, lifestyle influencer, critico dell’arte sostenibile, ambasciatore del made in Italy nel mondo, rappresenta un interessantissimo player nel panorama della valorizzazione dei beni culturali italiani, con una personalità veramente singolare foriera di attività mutiformi, ma tutte orientate alla ricerca e alla promozione della bellezza. Dottore commercialista, docente universitario, opinionista televisivo, esperto di relazioni pubbliche e di CSR (Corporate Social Reporting), con decine e decine di pubblicazioni di settore e di incarichi nei più prestigiosi comitati scientifici di economia culturale, sempre elegantissimo e trendy, relatore nei più autorevoli convegni di economia dell’arte, invitato nei party più esclusivi e nelle feste mondane più in vista di mezzo mondo, produttore cinematografico, fashion brand ambassador, amatissimo dalle donne, insomma una sorta di Leonardo da Vinci della comunicazione, il prodotto eccellente di un nuovo modo di operare e relazionarsi, quasi un caso di studio per chi voglia approfondire gli effetti di società civile dell’inarrestabile affermarsi delle nuove tecnologie, e soprattutto dei new media.
Tra i tanti personaggi che ha incontrato quale le ha lasciato di più in termini umani? Direi che tutti mi hanno dato qualcosa. In questo momento mi viene in mente Ennio Morricone che ho intervistato nell’occasione dell’opening di Roma Film Festival 2015. Era dicembre 2015, di lì a poco avrebbe vinto l’Oscar per la Migliore Colonna Sonora per il film “The Hateful Eight”. Accompagnato dalla moglie, con il viso segnato dal tempo, ma sempre capace di emozionarsi, con quella curiosità negli occhi che hanno i grandi. Nell’intervista gli chiesi cosa pensava dell’affermazione di Nietzsche secondo cui “La vita senza musica sarebbe un errore”. Ha parlato ininterrottamente per vari minuti, il tono della sua voce era pacato e riflessivo, ci teneva a dirimi cosa pensava di quella frase, cosa era per lui la musica, in che modo la musica aveva permeato tutta la sua vita. Ciò che mi affascinava era la sua semplicità, parlavamo come se fossimo due vecchi amici da sempre. Lei ha anche incontrato il Principe Alberto II di Monaco, che occasione era? Sì è successo l’anno scorso all’Isola d’Elba, nell’occasione di un importante convegno sul clima organizzato dalla sua fondazione. L’ente che rappresentavo gli ha regalato una bellissima immagine realizzata da Roberto Rosso, l’illustre fotografo dell’Accademia di Brera, avente ad oggetto lo stemma del principato. Lui l’ha apprezzata tantissimo. Siamo rimasti a cena all’Hermitage hotel. Serata stupenda, oltre le righe, in uno scenario estivo fantastico dell’isola. Ultimamente sta portando avanti iniziative sull’arte sostenibile: come mai tanta attenzione sulla sostenibilità nel mondo dell’arte? Ritengo che la sostenibilità sia il futuro dell’arte. E’ la sua declinazione che esiste da sempre, ma su cui solo negli ultimi decenni è stata acquisita la consapevolezza da parte degli operatori di settore. L’anno scorso, a settembre 2016, ho organizzato un importante evento nell’ambito della XXI Triennale a Milano, e sul tema tanti personaggi si sono confrontati, da Alessandro Mendini a Fulvio Irace, da Roberto Favaro a Enrico Intra, da Pino Farinotti all’assessore della cultura del Comune di Milano Filippo Del Corno. Il mese scorso ho organizzato un altro importante evento a Palazzo Marino a Milano sempre sul tema dell’arte sostenibile. Ho promosso l’opera dell’artista Carlo Caldara, che attua una delle declinazioni più affascinati di sostenibilità, il bridging tra le arti. Lui utilizza la fotografia e quindi l’immagine come base per costruire le sue opere che poi diventano un mix di pittura, scultura, letteratura e cinema. La sua mostra “True Story” a luglio 2017 sarà esposta al Vittoriano a Roma. Lei viene definito figlio d’arte. Suo padre infatti è Renato Doney, il noto cantante degli anni sessanta. Che rapporto ha con Suo padre? Gli voglio un gran bene e sono dispiaciuto che sia rimasto solo. Amava molto mia madre, che purtroppo è venuta a mancare nel 2012. Per lei ha smesso di cantare nel 1965, anno in cui la sposa e anno in cui sono nato io. Lui ha suonato e cantato con i grandi, da Chet Baker a Giorgio Bracardi e a Nicola Arigliano. L’anno scorso gli ho organizzato un bellissimo concerto a Milano in triennale con Enrico Intra. Grande successo. Io non ho ereditato il suo talento canoro, ma certamente la sua sensibilità artistica e il senso del palcoscenico.
Adam Rizzi