Komunque Donne: continuare a essere. Intervista a Maria Delogu Chessa
Mentre aspetto Maria Delogu Chessa, mi chiedo come riuscirà a sorprendermi stavolta.
Maria Delogu Chessa è la sorpresa. Il sorriso che illumina la giornata, la risata scrosciante e travolgente, l’abbraccio sicuro che non stringe forte, avvolge. Nonostante le prove, nonostante la vita.
E lei arriva. Questa volta è il colore.
I suoi capelli hanno i colori dell’arcobaleno e tu resti li e ti scappa un sorriso, scuoti la testa e pensi: “Fantastica… “. Maria Delogu Chessa è insegnante (inutile dire che è amatissima dai suoi alunni), donna di spettacolo, è stata giornalista di un noto quotidiano Sardo per trent’anni, impegnata in politica e nella tutela delle donne che subiscono violenza e “Fantastica” è una parola che dà l’idea della sua esplosiva personalità.
Ma non è per questo che oggi ci incontriamo. Oggi parliamo di Cancro. Si, Cancro.
Una parola che fa paura, che fa pensare al buio, all’oscurità, che terrorizza. È il male del secolo passato e del presente ma, lei e le sue amiche, compatto gruppo di guerriere, lo affrontano così, a testa alta e colorando la propria vita e quella di chi ha a che fare con loro.
Maria Carmela Contini:
Siamo qui per parlare di qualcosa che sta a cuore a molte donne, anzi a tutte, dati i numeri relativi ai casi di tumore femminili. Il vostro gruppo è composto da donne che hanno lottato e lottano contro questa malattia. Esattamente puoi dire chi siete e cosa fate?
Maria Delogu Chessa:
Il gruppo Komunque Donne è nato come un gruppo di auto aiuto. Lo stesso logo è Komunque scritto con la K, per il Kappa mammario e la lettera iniziale K è rappresentata da una donna che danza, con il segno di vittoria.
Questo è il nostro logo. Ci rappresenta molto bene.
Alcune di noi provengono da altri gruppi di auto aiuto nei quali hanno iniziato un percorso, altre sono nuove. Eravamo 13, ora siamo 12, in quanto una di noi, Veronica Contini, purtroppo ci ha lasciate, però l’abbiamo accompagnata, serenamente sino alla fine. Anche questo fa parte del nostro cammino.
MCC.: Hai detto che siete nate come gruppo di auto aiuto. È cambiato qualcosa da allora?
MDC.: Si, le “Komunque donne” sono ora un’Associazione di auto aiuto per donne con tumore al seno, fondata da: Maria Delogu, Susy Mura, Pina Nuvoli, Sandra Piras, Daniela Somaroli, Bettina Brovelli, Teresa Corbo, Andreina Sanna, Valentina Manai, Memi Riggio, Annalisa Lugas.
MCC.: Conosco alcune delle donne che hai nominato e, per quello che ne so, la vostra associazione non si occupa sicuramente solo di accompagnamento o sostegno psicologico.
MDC.: Si, ci occupiamo di noi e delle altre donne in diversi modi, alcuni molto “normali”, altri un po’ più innovativi e originali.
Ciò che faciamo ora, da un anno a questa parte, ad esempio, è l’ipnosi. Noi facciamo ipnosi di gruppo con il dottor Danilo Sirigu che, assieme ad altri medici specializzati dell’ospedale di Oristano, come il cardiochirurgo Gianfranco Delogu, attua terapie e interventi chirurgici sotto ipnosi.
Il Dottor Sirigu ha iniziato facendo le ecografie in ipnosi, mettendo cioè in contatto la paziente con il proprio corpo, cioè il “livello mente” con il “livello corpo” quindi. Con noi ha fatto una sorta di esperimento in cui la mente di noi donne con tumore, nel mio caso in followup, in altri casi con recidive, in altri ancora con metastasi o in chemioterapia, veniva aiutata ad entrare in contatto con il corpo in un’alleanza che aiutasse sia nella guarigione, che nell’affrontare il percorso di malattia.
È stato per noi di grande importanza. Ci ha permesso di affrontare molto meglio tutto ciò che ci poteva accadere nel nostro percorso, ma soprattutto di creare tra di noi un forte legame.
Abbiamo organizzato un Convegno dal titolo “Personal-mente”, proprio per questa alleanza tra il corpo fisico e la psiche, nel quale abbiamo avuto l’intervento di dott. Silvano Tagliagambe, dott. Giovanni Bigio e della dott.ssa Marina Risi vicepresidente nazionale della SIPNEI, venuta in Sardegna apposta per noi.
È stato un convegno riuscitissimo, la sala era strapiena e abbiamo avuto anche tante richieste d’ingresso all’ipnosi. È una tecnica ancora poco conosciuta ma, in quell’occasione, abbiamo avuto l’autorizzazione per la sperimentazione dal presidente dell’Ordine dei medici dott. Antonio Sulis.
Insomma, ci è stato chiesto di avviare la sperimentazione. È stata una grande conquista e siamo veramente soddisfatte.
MCC. Nel quotidiano invece come operate?
MDC. Nel nostro gruppo siamo tutte donne impegnate in un percorso ad ostacoli… non si parla mai di guarigione ma di remissione della malattia, che è ben diverso come concetto. Si rimane in Follow Up, così come sono io; le recidive si hanno anche a distanza di otto anni.
Ci occupiamo inoltre di nuove tecniche. Alcune di noi hanno avuto delle metastasi cerebrali, per le quali si utilizzano tecniche il meno devastanti possibile, così abbiamo provato ad entrare in contatto col Centro Italiano Diagnostico, nel quale si pratica un particolare tipo di terapia. È una radioterapia che permette di non “aprire” ma di intervenire con un macchinario, il Cibernife, che permette, in caso di metastasi non eccessivamente massive, di eliminare il tumore mediante trattamenti non invasivi, evitando ai pazienti tutto quello che è il dopo intervento.
Indubbiamente ti imbottiscono di cure cortisoniche in ogni caso, ma si evitano tutti gli altri inconvenienti che derivano da un intervento chirurgico cerebrale. Questo tipo di tecnica non esiste in Sardegna.
MCC. Vi occupate anche di assistenza burocratica? Non deve essere facile, per chi scopre di avere un tumore, essere così lucidi da orientarsi nei meandri della burocrazia sanitaria.
MDC. Il nostro aiuto si estende anche ai passaggi necessari per giungere ai risultati auspicati senza perdere tempo, sia in caso di prima diagnosi sia in caso di recidiva. Per una persona che ha un tumore, quando tu parli di metastasi, è come morire, così come muore di nuovo chi scopre di avere una recidiva. È un dover riaffrontare tutto, sono massi che ti piovono sulla testa, è il terreno che ti frana nuovamente sotto i piedi. Ti senti persa. Qualcuno che ti prende per mano e ti dice cosa fare, anche una cosa banale come : “ Devi andare alla asl prima di partire altrimenti non ti rimborsano il viaggio, ti devi far scrivere che hai bisogno di un accompagnatore, devi farti rimborsare la terapia ecc…”. è indispensabile, perché anche tutte le cose a cui hai diritto, in quei momenti, non sono nella tua testa, non le pensi. L’unico pensiero è salvarti la vita, letteralmente. Pensi a cercare di guarire, perché guardi negli occhi i tuoi figli, perché hai un compagno a cui vuoi bene e non vuoi arrecare dolore alle persone che ami. Perché vorresti semplicemente continuare a essere.
Questo è qualcosa che veramente ti tocca nel profondo.
Ecco perché è importante un aiuto esterno che sia consapevole della complessità della psiche e delle sue diverse reazioni al sapere di avere in te qualcosa che potrebbe ucciderti…
Sono molte le possibilità che vengono offerte, ma in quei momenti hai bisogno di qualcuno che sa, che sia lucido e che ti guidi tra le difficoltà e ti aiuti a superarle.
MCC. Vi occupate anche di fare o avviare le donne a terapie di supporto diverse da quelle prettamente oncologiche?
MDC. Si certo, se noi sperimentiamo, o abbiamo sperimentato qualcosa di positivo lo socializziamo. Quello di cui essenzialmente si ha bisogno in quei momenti comunque, è che qualcuno si occupi di noi, e ci rendiamo conto che, lavorando come gruppo, è nata una grande fiducia, un’alleanza che è cosa di pochi.
È questo che ci caratterizza. È questa la nostra forza.
Tra noi c’è ad esempio Susy Mura, che si occupa di accompagnare fuori tante persone, come allo IEO, dove molte di noi sono seguite, in quanto qui certi tipi di tumore non sono “curabili”.
MCC. Che significa “qui non sono curabili”? O lo sono o non lo sono…
MDC. Si certo, dovrebbe essere così ma non sempre lo è.
Ad esempio il mio tumore era attaccato al muscolo pettorale, era molto in fondo, non lo si toccava. Non c’era un macchinario che mi facesse una indagine particolare che serviva a capire se le mie iniziali micro calcificazioni si fossero trasformate in qualcos’altro. O meglio, non c’era a Oristano, era solo all’ospedale Brotzu, dove non volevano effettuare l’indagine, perché non la ritenevano necessaria. Così continuavano a farmi una mammografia mirata ogni mese. Alla fine, magari non sarei morta di cancro al seno, ma di linfoma… Ho detto basta e grazie alla mia determinazione mi sono salvata la vita: sono andata di filato allo IEO dove mi hanno operata immediatamente.
Questo macchinario è stato portato solo due anni fa all’Oncologico di Cagliari.
MCC. Si dice che i servizi dello IEO non siano facilmente fruibili da tutti, eppure tu ne hai parlato come se non ci fossero difficoltà nel rivolgersi a questo Istituto.
MDC. Non è vero che non sono facilmente fruibili. Io ho pagato solo la visita iniziale non più di quanto le visite private costino qui.
La dottoressa Zaragnolo mi ha salvato la vita operandomi nel giro di venti giorni e col Servizio Sanitario Nazionale. Bisogna sfatare il mito che allo IEO ci vanno solo i ricchi che possono pagare, mentre i poveri nell’attesa possono anche morire… .
Io non faccio propaganda allo IEO, qui abbiamo degli ottimi oncologi. A Oristano ad esempio sono eccellenti, tanto che alcune di noi hanno deciso di tornare qui a farsi seguire, dove c’è una grande disponibilità anche dal punto di vista umano, a partire dal Primario Dott. Tito Sedda, che è capace di saltare in macchina e portarti sino a Cagliari se lo ritiene necessario e tu sei in difficoltà. Ma ognuno deve essere libero di scegliere dove andare e, se questo ti fa sentire più sicura in un momento già così difficile, è giusto che tu lo faccia.
MCC. Ma tutto questo, per donne già provate emotivamente, con una vita sicuramente impegnata tra famiglia, lavoro e cure, non diventa un po’ troppo pesante?
MDC. Chiaramente un coinvolgimento emotivo così forte rischia, in alcuni casi, di portarti al limite. Questo vale per noi, così come per il personale medico che si spende tanto in una guerra quotidiana contro la malattia.
Il rischio burnout è sempre in agguato.
Ad esempio, da poco abbiamo perso una persona, Veronica, questo per noi è stato pesantissimo. Io l’ho conosciuta solo quando si è ammalata. Qualcuno le diede il mio numero perché sapeva del nostro gruppo. Il suo era un tumore avanzato e qui non erano molto convinti d’intervenire, così l’ho messa in contatto con lo IEO, con la mia chirurga, che è una delle migliori che ci sia oggi nel campo della chirurgia oncologica ginecologica e ciò le ha regalato altri due anni di vita. L’abbiamo accompagnata si, serenamente sino alla fine. Ma non è stato facile superare abituarci alla sua assenza dopo. Ci siamo fatte forza a vicenda, nessuna di noi è sola e insieme è più facile.
MCC. Insomma una bella squadra d’intervento coesa e compatta. Uno splendido esempio di come da difficoltà nascano opportunità.
MDC. Esattamente. Devo dire che questo gruppo funziona; ognuna mette a disposizione il tempo che può, ma soprattutto l’esperienza e la conoscenza delle strade da seguire.
Cosi man mano che ci facciamo conoscere, con le nostre iniziative e attività, veniamo anche contattate da persone esterne che vogliono dare una mano o mettere a disposizione la propria competenza.
Lo scorso anno ad esempio, ci ha contattato una pedagogista per proporci un progetto regionale dal nome “Mi prendo cura di me”. Quest’anno abbiamo avuto la seconda edizione della mostra “La Forza del Rosa” con 50 opere del pittore Federico Fadda, il cui ricavato è andato in parte all’associazione. Ogni persona con l’acquisto di un’opera ha disegnato con un filo sulla parete. Si è ottenuto un quadro che rappresenta la vita che avanza.
Insomma, insieme facciamo tanto, e ci allarghiamo all’esterno aiutando anche persone che non fanno parte del gruppo. Chiunque può contattarci.
Con questo chiudiamo l’intervista, ma la sensazione di forza e di coraggio permane. Maria mi saluta con uno dei suoi abbracci cuore a cuore, avvolgenti e mi sento al sicuro, come al sicuro si sentono sicuramente le donne che si avvicinano a lei e alle sue compagne di viaggio per chiedere aiuto.
Mi saluta con la mano mentre va verso i suoi impegni; nella mente rimane l’allegria dei suoi capelli arcobaleno e la sua gioia di vivere.
Maria Carmela Contini.