La rottura della promessa matrimoniale: la serietà dell’impegno

Preme al sottoscritto preliminarmente sottolineare che la portata degli interventi nella presente Rivista interessano la donna ma, al contempo, si estendono alla realtà che circonda la stessa, al panorama sociale e culturale di riferimento, nonché al contesto ideologico, politico e giuridico ove la stessa donna è soggetto idoneo, al pari dell’uomo, ad essere titolare tanto di doveri quanto di diritti.

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Ritenuta opportuna detta premessa, mi soffermerò sul fenomeno della c.d. rottura della promessa matrimoniale.

Come ha precisato la Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 9 del 2 gennaio 2012, la rottura della promessa di matrimonio senza giustificato motivo configura la violazione delle regole di correttezza e di auto-responsabilità, che non può considerarsi lecita o giuridicamente irrilevante, ma non costituisce né illecito extracontrattuale, essendo espressione della fondamentale libertà matrimoniale, né responsabilità contrattuale o precontrattuale, poiché la promessa di matrimonio non è un contratto e neppure crea un vincolo giuridico tra le parti.

In tale ipotesi si configura una speciale obbligazione che pone a carico del recedente ingiustificato (il soggetto che ‘rompe’ ingiustificatamente la promessa) l’obbligo di rimborsare alla controparte quanto meno l’importo delle spese affrontate e delle obbligazioni contratte in vista del matrimonio.

Quali sono gli elementi sintomatici della serietà dell’impegno assunto con la promessa? La convivenza in fase prematrimoniale durata diversi anni, l’acquisto di un immobile da adibire a luogo di abitazione, l’incarico per la ristrutturazione dello stesso, l’avvio e la prosecuzione dei preparativi per le nozze, la comunicazione delle nozze a parenti e amici molti mesi prima della data stabilità nonché la notorietà dell’impegno assunto.

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Un ulteriore elemento che il Giudice è chiamato a valutare è il momento temporale della rottura, tanto più grave quanto più vicino alla cerimonia.

Sul tema merita di essere segnalata una recente pronuncia del Tribunale di Pavia (sent. n. 967/2018) con la quale è stato ribadito che “la promessa di matrimonio, contemplata dagli artt. 79-81 cod. civ., si identifica, alla stregua del costume sociale, nel cosiddetto fidanzamento ufficiale, e sussiste, cioè, quando ricorra una dichiarazione espressa o tacita, normalmente resa pubblica nell’ambito della parentela, delle amicizie e delle conoscenze, di volersi frequentare con il serio proposito di sposarsi, affinché ciascuno dei promessi possa acquisire la maturazione necessaria per celebrare responsabilmente il matrimonio, libero restando di verificare se questa venga poi conseguita in se stesso e nell’altro e di trarne le debite conseguenze. Nell’ambito di detta promessa, si distingue quella di tipo solenne, di cui all’art. 81 cod. civ., soggetta a determinati requisiti (vicendevolezza, capacità di agire dei promittenti, atto pubblico o scrittura privata o richiesta di pubblicazioni di matrimonio), e produttiva di una situazione di affidamento, fonte di possibile responsabilità risarcitoria da quella di tipo semplice, non soggetta ad alcun requisito di capacità o di forma, qualificabile come mero fatto sociale, e non produttiva di alcun effetto giuridico diretto, tenuto conto che la restituzione dei doni, prevista dall’art. 80 cod. civ., non deriva dalla promessa, ma dal mancato seguito del matrimonio”. In ragione di quanto esposto, in punto di diritto, sulla base degli artt. 80 e 81 c.c., la rottura della promessa legittima l’altro promittente all’azione di restituzione dei doni fatti e ad ottenere il risarcimento dei danni.

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Avv. Roberto Pusceddu