Milano: il breve viaggio di Aventino loi
Milano, Buzzati, un Amore.
Breve viaggio nella Milano di oggi ripercorrendo le strade calcate dai personaggi di un romanzo ambientato negli anni ’60
( “UN AMORE” di Dino Buzzati, Mondadori – Milano 1963)
Seduto in un caffè, di fronte al Duomo, apro e richiudo il mio libro dalla copertina consunta.
“Un amore”. Quando Dino Buzzati lo scrisse aveva grosso modo l’età del protagonista. Qualche anno dopo ammise che di personale nel romanzo c’è “una sola pagina”, oltre ad esperienze che si intrecciano con emozioni intessute nel cuore di Milano. E’ la sua Milano, seducente, calda e accogliente, testimone e protagonista perfetta della trama. Il libro evoca immagini che scorrono lente, avvolte da una sottile foschia, tutte in bianco e nero.
La stessa impressione la vivo io, straniero per questa terra, nel camminare per la città. La cosa non mi spiace: è come essere dentro un grande film. Un classico del dopoguerra.
Milano è i suoi tram di legno. I navigli, la strada appena bagnata e ancora i tram che da lontano si intravedono andare da Piazza XXIV maggio verso viale Gorizia.
Ho la camera proprio li, in un albergo che quasi si affaccia sulla piazza. Piove appena, ma la giornata volge al meglio. Dalla finestra qualche angolo di cielo. Sono qui da ieri, venuto a leggere alcune mie poesie nella Casa Museo di Alda Merini, a ridosso dei navigli e a due passi dalla sua vera casa, deserta ora, al n. 47 della Ripa Ticinese.
Contrariamente ai miei precedenti soggiorni non ho noleggiato un auto. Voglio ascoltare i miei passi sull’asfalto e lasciarmi portare dai seggiolini di legno dei vecchi tram. Il percorso che mi accingo a fare è tra le pagine dell’unico romanzo biografico di Buzzati.
Alla fermata dei tram, davanti al Naviglio Grande, scruto i cartelli cercando un mezzo che mi porti a destinazione. La prima tappa è Via Moscova e subito dopo Corso Garibaldi. Arriva il 10. Da Corso Sempione a piedi posso raggiungere la meta. Sono due passi.
E’ la prima volta che mi soffermo ad osservare questi transiti. Puntiamo verso l’Arco della Pace. Scendo alcune fermate più avanti e respiro l’odore della terra bagnata nelle aiuole del vicino Parco Sempione. Poca gente per strada. E’ pomeriggio, autunno di una domenica d’ottobre. Un tratto breve intricato di case e cortili e sbuco all’incrocio di via Moscova con via Solferino…
“ … dalla grande finestra dell’ottavo piano si vedeva la casa di fronte, una casa moderna uguale alle case intorno, uguale alla casa dove Dorigo si trovava. Abbastanza allegra, tuttavia, in via Moscova, vasto complesso condominiale intersecato da viali-giardino dove potevano parcare le automobili…”
Il cielo è ancora plumbeo e la luce del pomeriggio fissa le immagini come se l’ora fosse indefinibile. Le finestre dei palazzi sono ampie, le facciate grigie. Poco è cambiato nella maggior parte dei palazzi in stile liberty, uguali. L’atmosfera è austera ma non triste… elegante, direi… discreta. Percorro a piedi il tratto che mi porta all’incrocio con Corso Garibaldi. Qui c’è fermento e gente che passeggia. Allegria, vita e luce. La temperatura è mite. Sembra una giornata di fine estate più che l’inizio d’autunno. A tratti il cielo squarcia di azzurro il grigio del pomeriggio. Lentamente mi avvio per il Corso Garibaldi e presto scopro che il numero 72 e il 74 non ci sono più
“… esisteva in Corso Garibaldi, a Milano, un gruppo di vecchissime case addossate le une alle altre in un groviglio di muri, di balconi, di tetti, di comignoli. Dove lo spirito della città antica, non quella dei signori ma quella dei poveri , sopravviveva con una singolare potenza. Pezzo a pezzo, la vecchia Milano era stata distrutta. Risparmiati solo i solenni palazzi , simili, in fondo, ai palazzi di tutte le altre città di ogni paese: esprimendo, non importa in che stile, gli orgogli e le vanità della medesima specie umana. Mentre è proprio nelle abitazioni dei poveri diavoli che viene fuori l’animo genuino del popolo. Ma i bestiali non capiscono queste cose e con il peso dei miliardi spianano i sozzi e polverosi quartieri dei millenni a scopo di lucro.
In corso Garibaldi però durava ancora ostinata , pur sbrecciata ai margini dal piccone, un’isola ancora intatta. E fra il numero 72 e il 74 c’era un passaggio sormontato da un arco, una specie di porta che immetteva in uno stretto e breve vicolo . C’era anzi una targa in pietra su cui era scritto : Vicolo del Fossetto…”
Laddove Antonio pensava di avere intravisto tempo prima la Laide c’è un palazzo nuovo. Uffici e negozi di grandi dimensioni, fronte strada. Esiste ancora un arco laddove dovevano esserci quei numeri civici ma si perde nei giardini di un condominio recente. Non c’è traccia di Vicolo del Fossetto.
“I miliardi hanno spianato” la città vecchia e al suo posto imperano negozi, bar e ristoranti… ma l’atmosfera ha conservato qualcosa di allora. Qualche ombra , una ragazza che si avvia dentro “il vicolo”, in quello che resta dell’arco. Resto affascinato dalla luce e dai colori, dal brusio della gente che si attarda davanti alle vetrine. Il profumo è di buon cibo e provo a chiudere gli occhi per pochi istanti, mentre cammino piano e mi avvio per tornare.
E’ piovuto tutta la notte. Lunedì mattina: l’aria è appena fresca ma il tempo volge al meglio. Dalla finestra dell’Hotel il cielo si avvia al sereno .
Trascorro la mattina tra i Navigli e il Duomo. Ci sono motivi che mi portano ancora al caffè di fronte al Duomo. Osservo le persone per strada. Sono turisti, per lo più. Scorro le pagine del romanzo, mi soffermo su una pagina segnata.
Solo dopo pranzo riparto per altre strade. Due tram fino alla fermata poco oltre Piazza Velasca. Buzzati parla di Via Velasca ma non ne trovo traccia …
“ … erano usciti da via Velasca,25, una nuova casa , la signora Ermelina stava al sesto piano.
Da via Velasca, 25, una nuova casa, avrà avuto due tre anni, Dorigo potrò le valigie fino in piazza Missori dove aveva lasciato la macchina…”
Piazza Missori è a due passi da piazza Velasca. E’ tutto molto grande. Gli edifici sono importanti ma hanno portoni rassicuranti. Dove ci si può fidare. Rimango incantato ad osservare la gente che cammina e chiacchiera. Gli autobus e i tram sono numerosi. A momenti sembra si intralcino invece scivolano via, incrociano il loro percorso senza toccarsi. Tutto sembra un bellissimo gigantesco plastico che immagino di guidare.
Invece in qualche modo mi perdo ed è tardi. Non trovo il tram che dovrebbe portarmi indietro ma solo un taxi per tornare in albergo, prendere la valigia e proseguire per l’aeroporto.
Solo li mi accorgerò di avere sbagliato il biglietto per il ritorno.
Milano in qualche modo mi trattiene. Mi accoglie per non farmi ripartire.
Io riesco a trovare un posto sull’aereo.
Parto ma per tornare. Perché so che presto dovrò tornare.
Aventino Loi