intervista: Ignazio Pepicelli Sanna
Chi è Ignazio Pepicelli Sanna? Parlaci di te.
Nasco a Iglesias il 29 agosto 1961, dove mio padre – napoletano – esercitava il mestiere di carabiniere. Mia madre era però sarda, di Sant’Antioco. All’età di due anni mio padre ottiene il trasferimento a Napoli e lì un anno dopo nasce mia sorella, Lorella. Avevo da poco iniziato la quarta elementare quando il 24 dicembre 1970, vigilia di Natale, mio padre muore ucciso in servizio. Mamma dovette cominciare a lavorare. E non appena sicura del lavoro anche in Sardegna, tornammo a Sant’Antioco. Avevo dodici anni e dovevo iniziare la seconda media.
A quindici anni comincio a suonare la chitarra, per imitare il mio idolo – Elvis Presley – perfino vestendomi come lui. Fondo il primo gruppo rock con due amici di allora – sono amici tutt’ora, se pure di tutt’altra professione – e comincio a scrivere le prime canzoni.
Terminato a Sant’Antioco il Liceo Scientifico, mi trasferisco a Cagliari per l’Università. Lettere Moderne, con orientamento antropologico. Successivamente a Roma, alla Sapienza, in Discipline dello Spettacolo. Da queste due esperienze di studio nasce la mia professione. Ricerca di tradizioni popolari di selezionate realtà, in particolare antiche leggende, che poi riadatto in fiaba o in racconto popolare. E ci aggiungo le canzoni, ballate di sapore popolare anch’esse. Escono così i miei lavori, libro con cd musicale incastonato in terza di copertina. Che poi diventano vere a proprie rappresentazioni teatrali, in racconto e canzone.
Dal marzo 2011 mi sposto a Milano, senza però trasferirmici del tutto, in zingaresco vai e vieni dalla Sardegna, spesso passando per Napoli. Lì, a Milano, il mio progetto artistico si perfeziona e raffina. Tanto che in breve vedono la luce due importanti lavori in note e parole. “Non toglietevi il cappello”, opera in monologo e canzone sulle lotte contadine in Puglia di primo Novecento, incentrata sulla figura di Giuseppe Di Vittorio e pubblicata dalla Ediesse di Roma. L’altra in racconto e canzone, “Il mare senza sale”, tutta immersa nelle acque dolci dei navigli meneghini e pubblicata ad Abeditore di Milano. In Sardegna, senza canzoni in allegato, sono per i tipi di Condàghes di Cagliari recentemente uscite le “Fiabe di Carloforte”. Per ArtecetrA, invece, esce “Tra pietra e mare”, dodici racconti popolari mediocampidanesi.
Perché hai scelto di firmare i tuoi libri con due cognomi?
Mio padre non era sardo ma napoletano, carabiniere deceduto in servizio quando io ero solo un bambino. Di Sant’Antioco invece mamma, che da sola ci ha fatti studiare me e mia sorella, tutto di lei e per lei sacrificando. La scelta di aggiungere “Sanna” alle mie opere intende offrire a chi mi legge o ascolta l’immediata individuazione della terra che mi ha cresciuto, come – e forse di più – rendere a mia madre un piccolo segno della mia innamorata riconoscenza, strappandola all’oblio del cognome materno.
La famiglia ti ha spinto di più allo studio o all’arte?
Mia madre, forse per la necessità continua di cose materiali cui l’ha costretta la vita, era una donna esageratamente pratica. Per lei contava studiare, null’altro, in vista di un lavoro di distinzione e remunerativo. Neppure gradì la scelta degli studi letterari, molto insistendo perché facessi “Medicina”. “Su fillu dotòri” era allora, in fondo, ambizione diffusa nella generazione dei miei genitori. Quella, per intenderci, della rinascita economica dopo i disastri della guerra. Mio padre è stato, se pure io l’abbia conosciuto appena, a passarmi i cromosomi dell’arte. Quelli sì, interamente partenopei.
Musica e narrativa. Quale, delle due pratiche artistiche, nasce per prima?
Non deve confondere la mia scelta di fare “Lettere”, dopo il liceo scientifico. Perché decisamente arriva prima la musica. Ero, ragazzetto, un fan sfegatato di Elvis. Di lui conservo ancora un numero incredibile di vinili originali. Nel gruppetto di amici che non ancora adolescente frequentavo, a Sant’Antioco, uno se la cavava mica male con la chitarra. Ricordo che avevo occhi più per lui che per la fidanzatina di allora. Ho imparato a suonare la chitarra così, guadandolo. E, mando a dirlo, ho subito preso a imitare Elvis. Poco e già mi componevo le prime canzonette, orripilanti.
La narrativa arrivò molto dopo, a seguito degli studi universitari, anche se oggi la proporzione si è capovolta. Prevalentemente scrivo racconti popolari. Le canzoni, di stampo popolare anch’esse e lontanissime da Elvis, su quegli stessi racconti si forgiano e intimamente li completano. Potrebbero definirsi, le mie ballate, una sorta di chiosa musicale al prodotto letterario che le stuzzica e sollecita.
Preferisci la Sardegna o la Campania?
Non credo ci sia differenza., entrambe profondamente amate e vissute. E studiate. Delle due terre conosco a fondo le tradizioni come le lingue, che parlo e scrivo. Pure in canzone.
Devo però aggiungere che non solo sole, Sardegna e Campania, a plasmare me artista. Giacché principiando in marzo 2011 una nuova esperienza artistica a Milano, ho immediatamente sentito quella terra e quella gente vicina. Una terra d’adozione da aggiungere alle due di sangue, amata uguale. Cosicché oggi la mia attività artistica piacevolmente si muove sul triangolo Cagliari-Napoli-Milano, a fare io l’Italia molto più e meglio dei nostri litigiosi politici.
Quali sono i progetti per il futuro?
Un futuro che già si è fatto presente, in effetti. L’idea era uscire dal “triangolo” e rendere davvero nazionale il mio progetto in racconto e canzone. È da qualche anno, infatti, che da ogni anfratto d’Italia vengo chiamato perché scriva le fiabe o i popolari racconti di quella o quell’altra specifica parte dello Stivale. Per farlo però davvero avevo bisogno di qualcuno che sostenesse economicamente l’ambizioso progetto e di un nuovo marchio editoriale che tutto l’abbracciasse. ArtecetrA è palindroma novella etichetta nata assieme agli amici Giuseppe e Marco, e assieme a una importante azienda sarda – preferisco non dirne ancora il nome – sto tessendo la futura tela editoriale e di spettacolo. Forse, in aggiunta ad ArtecetrA, perfino una nuova etichetta editoriale.
Nello specifico, pronti alla pubblicazione e in ritardo sulla tabella di marcia per via della pandemia, sono i racconti popolari di Sant’Antioco, i racconti popolari di Milano Sud e i racconti partigiani.
Un saluto a Rivista Donna
Il ringraziamento a Rivista Donna e a chi per essa Veronica Pisano, è molto più che un fatto formale. Perché gli artisti, mai dovrebbero dimenticarlo, non esisterebbero se nessuno scrivesse di loro. Non sono stelle, ma risplendono luce riflessa. Il mio è perciò un “grazie” sentito e partecipato.
Chi è Ignazio Pepicelli Sanna? Parlaci di te.
Nasco a Iglesias il 29 agosto 1961, dove mio padre – napoletano – esercitava il mestiere di carabiniere. Mia madre era però sarda, di Sant’Antioco. All’età di due anni mio padre ottiene il trasferimento a Napoli e lì un anno dopo nasce mia sorella, Lorella. Avevo da poco iniziato la quarta elementare quando il 24 dicembre 1970, vigilia di Natale, mio padre muore ucciso in servizio. Mamma dovette cominciare a lavorare. E non appena sicura del lavoro anche in Sardegna, tornammo a Sant’Antioco. Avevo dodici anni e dovevo iniziare la seconda media.
A quindici anni comincio a suonare la chitarra, per imitare il mio idolo – Elvis Presley – perfino vestendomi come lui. Fondo il primo gruppo rock con due amici di allora – sono amici tutt’ora, se pure di tutt’altra professione – e comincio a scrivere le prime canzoni.
Terminato a Sant’Antioco il Liceo Scientifico, mi trasferisco a Cagliari per l’Università. Lettere Moderne, con orientamento antropologico. Successivamente a Roma, alla Sapienza, in Discipline dello Spettacolo. Da queste due esperienze di studio nasce la mia professione. Ricerca di tradizioni popolari di selezionate realtà, in particolare antiche leggende, che poi riadatto in fiaba o in racconto popolare. E ci aggiungo le canzoni, ballate di sapore popolare anch’esse. Escono così i miei lavori, libro con cd musicale incastonato in terza di copertina. Che poi diventano vere a proprie rappresentazioni teatrali, in racconto e canzone.
Dal marzo 2011 mi sposto a Milano, senza però trasferirmici del tutto, in zingaresco vai e vieni dalla Sardegna, spesso passando per Napoli. Lì, a Milano, il mio progetto artistico si perfeziona e raffina. Tanto che in breve vedono la luce due importanti lavori in note e parole. “Non toglietevi il cappello”, opera in monologo e canzone sulle lotte contadine in Puglia di primo Novecento, incentrata sulla figura di Giuseppe Di Vittorio e pubblicata dalla Ediesse di Roma. L’altra in racconto e canzone, “Il mare senza sale”, tutta immersa nelle acque dolci dei navigli meneghini e pubblicata ad Abeditore di Milano. In Sardegna, senza canzoni in allegato, sono per i tipi di Condàghes di Cagliari recentemente uscite le “Fiabe di Carloforte”. Per ArtecetrA, invece, esce “Tra pietra e mare”, dodici racconti popolari mediocampidanesi.
Perché hai scelto di firmare i tuoi libri con due cognomi?
Mio padre non era sardo ma napoletano, carabiniere deceduto in servizio quando io ero solo un bambino. Di Sant’Antioco invece mamma, che da sola ci ha fatti studiare me e mia sorella, tutto di lei e per lei sacrificando. La scelta di aggiungere “Sanna” alle mie opere intende offrire a chi mi legge o ascolta l’immediata individuazione della terra che mi ha cresciuto, come – e forse di più – rendere a mia madre un piccolo segno della mia innamorata riconoscenza, strappandola all’oblio del cognome materno.
La famiglia ti ha spinto di più allo studio o all’arte?
Mia madre, forse per la necessità continua di cose materiali cui l’ha costretta la vita, era una donna esageratamente pratica. Per lei contava studiare, null’altro, in vista di un lavoro di distinzione e remunerativo. Neppure gradì la scelta degli studi letterari, molto insistendo perché facessi “Medicina”. “Su fillu dotòri” era allora, in fondo, ambizione diffusa nella generazione dei miei genitori. Quella, per intenderci, della rinascita economica dopo i disastri della guerra. Mio padre è stato, se pure io l’abbia conosciuto appena, a passarmi i cromosomi dell’arte. Quelli sì, interamente partenopei.
Musica e narrativa. Quale, delle due pratiche artistiche, nasce per prima?
Non deve confondere la mia scelta di fare “Lettere”, dopo il liceo scientifico. Perché decisamente arriva prima la musica. Ero, ragazzetto, un fan sfegatato di Elvis. Di lui conservo ancora un numero incredibile di vinili originali. Nel gruppetto di amici che non ancora adolescente frequentavo, a Sant’Antioco, uno se la cavava mica male con la chitarra. Ricordo che avevo occhi più per lui che per la fidanzatina di allora. Ho imparato a suonare la chitarra così, guadandolo. E, mando a dirlo, ho subito preso a imitare Elvis. Poco e già mi componevo le prime canzonette, orripilanti.
La narrativa arrivò molto dopo, a seguito degli studi universitari, anche se oggi la proporzione si è capovolta. Prevalentemente scrivo racconti popolari. Le canzoni, di stampo popolare anch’esse e lontanissime da Elvis, su quegli stessi racconti si forgiano e intimamente li completano. Potrebbero definirsi, le mie ballate, una sorta di chiosa musicale al prodotto letterario che le stuzzica e sollecita.
Preferisci la Sardegna o la Campania?
Non credo ci sia differenza., entrambe profondamente amate e vissute. E studiate. Delle due terre conosco a fondo le tradizioni come le lingue, che parlo e scrivo. Pure in canzone.
Devo però aggiungere che non solo sole, Sardegna e Campania, a plasmare me artista. Giacché principiando in marzo 2011 una nuova esperienza artistica a Milano, ho immediatamente sentito quella terra e quella gente vicina. Una terra d’adozione da aggiungere alle due di sangue, amata uguale. Cosicché oggi la mia attività artistica piacevolmente si muove sul triangolo Cagliari-Napoli-Milano, a fare io l’Italia molto più e meglio dei nostri litigiosi politici.
Quali sono i progetti per il futuro?
Un futuro che già si è fatto presente, in effetti. L’idea era uscire dal “triangolo” e rendere davvero nazionale il mio progetto in racconto e canzone. È da qualche anno, infatti, che da ogni anfratto d’Italia vengo chiamato perché scriva le fiabe o i popolari racconti di quella o quell’altra specifica parte dello Stivale. Per farlo però davvero avevo bisogno di qualcuno che sostenesse economicamente l’ambizioso progetto e di un nuovo marchio editoriale che tutto l’abbracciasse. ArtecetrA è palindroma novella etichetta nata assieme agli amici Giuseppe e Marco, e assieme a una importante azienda sarda – preferisco non dirne ancora il nome – sto tessendo la futura tela editoriale e di spettacolo. Forse, in aggiunta ad ArtecetrA, perfino una nuova etichetta editoriale.
Nello specifico, pronti alla pubblicazione e in ritardo sulla tabella di marcia per via della pandemia, sono i racconti popolari di Sant’Antioco, i racconti popolari di Milano Sud e i racconti partigiani.
Un saluto a Rivista Donna
Il ringraziamento a Rivista Donna e a chi per essa Veronica Pisano, è molto più che un fatto formale. Perché gli artisti, mai dovrebbero dimenticarlo, non esisterebbero se nessuno scrivesse di loro. Non sono stelle, ma risplendono luce riflessa. Il mio è perciò un “grazie” sentito e partecipato.
Veronica Pisano