Virginia Saba. Anatomia di una Venere Callipigia nell’intelletto di Ipazia. Mi sono sempre affermata da sola
Quando una congettura poco informata, dai contorni fabulistici, genera sensazionalismo morboso per anni, scatena odio torrenziale sui social network e non esiste una rettifica reiterata con altrettanta frequenza e convinzione qual è l’antidoto al vulnus reale inflitto al bersaglio umano del pour parler? Qual è il risarcimento morale e sociale?
René Girard – antropologo francese che per primo coglie il nesso essenziale tra violenza e invidia, come carattere necessario al livellamento comunitario attorno al capro espiatorio – teorizza che la vittima sacrificale privilegiata è il re: «É la figura più eminente dell’intero ordine sociale, l’essere umano più importante in assoluto, colui che è alle soglie della divinità. Su quest’ultima la vendetta non è attuabile ma è attuabile una mobilitazione generale contro una vittima predestinata», sostiene Girard. Per il popolo dei social conta davvero poco il blasone e la monarchia è, in prospettiva, nient’altro che il più ambito (e forse sopravvalutato) tra gli strumenti di potere: la visibilità. La mobilitazione generale di cui parla Girard è l’atto stesso di avvelenare e neutralizzare quella visibilità con l’uso della maldicenza. Resta da chiedersi se la corsa alla smentita social sia altrettanto immediata, a distanza di tempo, quando la realtà dichiara da sola la verità dei fatti e smentisce illazioni e accuse all’indirizzo della vittima sacrificale.
Per sostanziare un ragionamento tutt’altro che teorico è sufficiente riflettere con i maggiori protagonisti della scena italiana. Noi abbiamo scelto un’intellettuale italiana che periodicamente, per evidenti paralogismi verbali su piani semantici sghembi, si confronta con la soddisfazione per i propri traguardi personali ma anche con l’esergo della medaglia, un odio inspiegabile e ostinato che richiede struttura di carattere e risorse affettive ferme per essere fronteggiato.
Virginia Saba è stata oggetto, più che spesso, di un turbine d’odio talvolta esplicito, altre volte sommerso. Protagonista primaria della scena politica italiana, «potentissima, in grado di decidere carriere politiche e ministeriali» verga la stampa italiana e internazionale. Teologa, scrittrice, counselor filosofica, docente di scrittura creativa nella prestigiosa accademia Molly Bloom, già giornalista Mediaset, opinionista di Rai News, direttrice del Festival della Marina di Villasimius è già tutte queste cose assieme quando la vita privata si interseca ad affetti che accendono un interesse morboso e lesivo di un percorso professionale costruito su diverse lauree, intensa attività convegnistica, impegno nella difesa dei diritti non limitatamente a mezzo proclami social ma attraverso decisivi interventi accademici. L’attenzione massiva sembra emergere solo in relazione ai legami affettivi che certo ne nutrono l’interiorità ma ne scalfiscono la carriera. L’aspetto estetico non aiuta. Un corpo che richiama i canoni della classicità, tornito da un passato di cestista di successo in serie A e un viso da midons dantesca: ce n’è d’avanzo per scatenare l’accusa di tentatrice, come se l’uomo di potere fosse eterodiretto e completamente in balìa delle trame di presunte donne opportuniste, senza nemmeno avvedersene. Al prosaico consuntivo del preteso do ut des sentimentale risulta all’hater basico un solo, inarrivabile, traguardo dall’investimento emotivo di ogni legame: la notorietà. La realtà non è sempre e solo ciò che appare.
C’è qualcosa che oggi sa e che ignorava quando è partita da Cagliari, nel suo “giorno zero”, come lo definisce lei?
Molte cose. Ad esempio che non mi serve niente e nessuno per essere ciò che voglio essere. Ciò che pretendo è solo uno scambio di bene con le persone con le quali costruisco il mio cammino. Questo sì. Mi sento, inoltre, profondamente libera. È una bellissima sensazione, che mi rendo conto non tutti conoscono. Quel livore di cui parla lei righe sopra è a me sconosciuto, nemmeno me ne accorgo. Vivo ogni cosa che voglio e come voglio, seguendo i miei valori, totalmente impermeabile ai giudizi altrui. È uno dei principi stoici della cura del sé, affermare se stessi portando fuori il meglio, e non essere delle brutte risposte viventi agli impulsi esterni.
Lei ha dichiarato che dal punto di vista giornalistico, se potesse tornare indietro, non avrebbe profuso tanta energia sulla tematica calcistica. Cosa la ha portata a questa conclusione?
Il calcio ha di bello le storie. Una sua poesia. Ho realizzato delle interviste nelle quali ho lasciato il cuore. Penso all’ex del Cagliari Jeda che mi parlò della cosa più difficile del calcio: realizzare una palla di calzini e stracci per poter giocare da bambino tra i sobborghi di Sàntarem. Ma sinceramente mi capitava spesso di scrivere gli articoli prima delle conferenze perché sapevo esattamente cosa sarebbe emerso. Ho iniziato ad annoiarmi. E per crescere ogni tanto serve cambiare. Una mia sfida quotidiana è quella di impegnarmi a saper parlare di tutto e con qualunque interlocutore. Dunque mi serviva allargare le mie conoscenze e riflessioni, anche sul lavoro.
Una riflessione che la ha condotta a portare a conclusione il suo ultimo legame amoroso, con un’altra figura molto impegnativa?
Nelle relazioni il sacrificio di sé è romantico e degno di lode, ma fino a un certo punto.
Looking for Virginia
Chi è la sua icona di libertà?
Tamara de Lempicka. Forte, indipendente, libera, viva. É vissuta per ricordarci che alle donne non serve nessuno per essere ciò che devono essere. Colette: facendo l’attrice di musicall ha diffuso femminilità, da giornalista ha temperato i pensieri, da critica teatrale e cinematografica ha dato una forma al suo intelletto. Da donna emancipata qual era diceva che sa dire all’avventura un “sì” precipitoso, ma a patto della assoluta convinzione di comprare così la tranquillità. Insomma, le pericolose scelte di vita è bene non confonderle con la pusillanimità.
Chi è la sua power woman?
Ipazia. Matematica, scienziata, filosofa neoplatonica e maestra di tutti che per tanto sapere e bellezza fu sfregiata barbaramente con la mazza chiodata, scorticata e fatta a pezzettini da una folla feroce di cristiani che di lei temevano l’immensa sapienza. Ipazia voleva conoscere ogni cosa e combattere il fanatismo di chi dà fuoco al sapere. È sempre stata per me grande maestra ed esempio. Ne approfitto per mandare un abbraccio a tutte le donne coraggiose che con lavoro e sapienza illuminano il cammino degli esseri umani.
Come definirebbe il suo stile?
Vorrei essere limpida e ordinata come un dipinto di Piero della Francesca. Invece sono il Bagatto dei Tarocchi, o il Venditore ambulante di Bosch. Imprevedibile, creativa, con grande forza di volontà, e per taluni dissonante. Ma è il prezzo di chi vuole ricercare. Mi viene in mente la poesia di Alda Merini “Sono nata il 21 a primavera. Ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle\Potesse scatenar tempesta”. Credo sia una mia specialità.
Un fiore che la rappresenta?
La Rosa del deserto. Un esempio. Resistente e pronta a trasmettere qualcosa di bello e positivo anche quando tutto sembra arido.
Il suo luogo del cuore?
La spiaggia di Campus a Villasimius. Ogni anno da bambina lì tra gli scogli nascondevo i miei amuleti perché il mare li portasse via e realizzasse i miei desideri. Ero una bambina felice, con dei genitori e un fratellino meravigliosi. Mi porto dentro l’infanzia come un tesoro, ogni giorno della mia vita. Sono sempre quella bambina.
Il suo ristorante preferito?
In Portogallo, vicino a Coimbra, al Mata Nacional do Buçaco. Immerso in un giardino meraviglioso.
Il libro da consigliare?
Il codice dell’anima di James Hillman, perché ci ricorda quanto sia necessario diventare ciò che dobbiamo essere. È una questione di giustizia nei nostri confronti, di verità e autenticità. Non dobbiamo arrenderci ed essere ciò che vogliono gli altri o ciò che ci impongono le sovrastrutture. Neppure dovremmo accontentarci di ciò che ci propone la vita. Ognuno dovrebbe capire perché sta qui. E vivere per realizzarlo.
La serie tv?
Non vedo serie tv, principalmente perché fanno perdere molto tempo.
Un film da rivedere?
Lost in translation di Sofia Coppola. Quando tutto accade, le parole non servono. Un capolavoro. Ci sono argomenti dei quale non si dovrebbe parlare, tanto sono sacri, divini. Il mito di Amore e Psiche insegna che ciò che c’è di più importante non può essere esplicitamente rivelato. O pensiamo agli Haiku. Alle icone russe. Il tutto compiuto senza logica o parole.
La colonna sonora della sua giornata?
Prospettiva Nevski di Battiato. La canto spesso. Trovare l’alba dentro l’imbrunire credo sia il segreto della vita e forse in assoluto il mio verso preferito. Un insegnamento. Ma anche L’apprendista stregone di Branduardi per me è stata molto importante. Più tutte le ninne nanna di mamma e papà. Che bellezza addormentarsi con i Beatles, o La collina dei ciliegi di Battisti.
Qual è il suo profumo signature?
Associo i profumi ai ricordi. Ce ne sono tanti. Ma vorrei portare sempre con me quello di mio papà quando si preparava per andare al lavoro e andavo a scuola “con un po’ di lui”.
Da un punto di vista sociale, cosa la preoccupa di più?
L’atteggiamento punitivo e di esclusione dei più deboli. Penso sia contro ogni umanità. Mi spaventa la cattiveria di chi non capisce che l’unico senso di questa vita sia fare del bene, includere, trasformare i difetti in perfezione. Provarci, almeno. Invece c’è tanto odio. Ognuno che giudica e punisce. Che tristezza.
Il tratto principale del suo carattere?
Sono una persona buona. È raro che veda il male o la bruttezza nelle cose e persone. Ma mi piacciono – molto – le persone intelligenti. Non per una questione legata al potere. Di quello nulla mi importa. Mi sono sempre affermata da sola. Non mi serve nessuno e, per la cronaca, credo profondamente nella meritocrazia. E posso dire con orgoglio che ogni cosa che ho avuto e ho è il frutto dei miei sforzi, impegni, inclinazioni. Sono una donna sarda profondamente orgogliosa, un’atleta abituata a procurarsi la palla da sé. Chi mi ha visto giocare lo sa. Ma i meccanismi mentali e le menti brillanti sono per me molto stimolanti. Perché voglio conoscere. Capire. Imparare. Ho incontrato uomini e donne molto intelligenti, negli ultimi anni. Me li tengo tutti molto stretti e coltivo lo scambio. Fa parte della mia crescita. Mi sento molto fortunata.
Qual è la qualità che apprezza di più nel/nella partner?
Non potrei sopportare un rapporto ingannevole, ipocrita. Dunque direi la sincerità. Fino in fondo. Sempre. È un atto di maturità. Ormai è tutto finto. Mi mette angoscia, l’inganno.
Il suo peggior difetto?
Sono profondamente disordinata. E mi ricordo solo le cose belle.
Il libro che avrebbe voluto scrivere lei?
Le mille e una notte. Un percorso iniziatico col racconto. Erotico nel vero senso del termine, ovvero capace di dislocare l’io e trasformare il crudele Re di Persia in una persona migliore.
Il suo passatempo preferito?
Andare al campetto a giocare a basket con i filippini, cinesi, romani, napoletani e tutto il mondo, possibilmente con la maglia della Dinamo Sassari. Rimetto in gioco tutta la mia parte più competitiva, aggressiva, la ragazzina che è in me, quella che ha una grinta che mi fa sentire invincibile. Pilastro della mia personalità.
Cosa manca alla sua felicità?
Penso di essere felice, perché sono continuamente in cammino. E se una persona conosce il pensiero di Lao Tze mi può capire. La ricerca è il senso. Il Tao è la ricerca.
In quale Paese vorrebbe vivere?
Credo di avere qualcosa che mi lega a Parigi. È la città nella quale mi sento più a mio agio, avrei voluto frequentare Gertrude Stein un secolo fa.
Il suo scrittore preferito?
Questa domanda è sempre per me complicata. Immagino dovrei scegliere uno scrittore o una scrittrice di romanzi. Invece mi vengono i mente i poemi di Rumi. La sua Danza degli atomi, il suo amore mistico.
Il artista preferito?
Piero della Francesca. Rimarrei ore a contemplare le sue opere. Racchiudono tutto ciò che mi interessa.
Se avesse potuto scegliere il suo nome di battesimo, quale sarebbe stato?
Virginia. Woolf, magari!
Il personaggio storico che odia su tutti?
Nessun odio. Ma provo dispiacere per alcuni personaggi del presente.
L’impresa storica che ammira di più?
Mi piace quando grandi piccole personalità cambiano gli eventi grazie al loro carisma. La storia ha bisogno di grandi uomini. Il segretario generale dell’Onu di cui parlo nel mio libro, Dag Hammarskjöld, ogni notte scriveva e meditava sul suo operato domandandosi se avesse ragionato o meno per egoismi e vanità, oppure seguendo quella grammatica universale che rende ogni potere dignitoso e benedetto.
Quale dono/potere vorrebbe avere?
Tornare al principio di tutto e vedere cosa c’era prima della creazione.
Come si sente attualmente?
Libera. Felice di poter trasmettere ai ragazzi del master, a chi viene ai corsi di filosofia che ho organizzato, e chi mi legge, tutte le cose belle che ho imparato. Mi manca la famiglia, ma la lontananza spesso fa sentire tutto più vicino, dentro.
Il suo motto è?
Il meglio deve ancora arrivare. Per tutti.
Ilaria Muggianu Scano