Maria Jole Serreli, vincitrice del premio “Limen Arte”: la sua opera “Animas”, un omaggio alle donne
Maria Jole Serreli è una pittrice scultrice e performer, nasce a Roma nel 1975 da genitori sardi, vive in Sardegna. Il suo agire artistico comprende la poesia e si sviluppa, spesso, nella forma dell’installazione. Autodidatta, nel 1999, ad Arborea (OR), ha luogo la sua prima mostra personale. Si qualifica ceramista nel 2004 presso l’Istituto C.R.F.P di Oristano. Sin dagli esordi sperimenta i più diversi materiali, dal basalto, alla juta, all’argilla; Francesco Ciusa e Maria Lai sono i modelli ai quali si ispira offrendo, spesso, omaggio che si fa percorso di ricerca verso l’approdo a una strada personale. È nella pratica della materia la sua cifra originaria, che la fa apprezzare nel suo territorio e che, nel contempo, le permette di andare oltre: l’installazione Statue d’animo, tributo alla donna sarda, le permette di farsi conoscere come scultrice. Ansiosa di conoscere e di confrontarsi con le nuove sperimentazioni e tenenze dell’arte contemporanea mondiale, nel 2010 esordisce a Londra con la personale dal titolo Who Are We? Where Are We Going?. Nel 2014 prosegue con partecipazioni a numerose collettive in diverse città, tra le quali Londra, Roma, Cagliari e Milano dove, presso la Galleria MA-EC (Milan Art & Events Center) è selezionata per “ART EXPO 2014, 1° concorso internazionale d’arte contemporanea”; l’opera esposta, dal titolo Possession, le è valsa la segnalazione all’interno della mostra. Ha ideato “In Your Shoes”, progetto artistico di solidarietà per sostenere EMERGENCY: presentato il 29 gennaio 2013 a Londra, presso la Vibe Gallery, il 3 luglio 2013 è stato ospitato, ancora a Londra, all’interno dell’evento di Emergency “Gino and Giles in Conversation”, per poi approdare a Cagliari.
Una delle più recenti opere è Animas – Nido di seta con cui Maria Jole si è qualificata seconda al Concorso Limen Arte. Un’opera in cui l’autrice ha voluto omaggiare la figura femminile, in particolare la tessitrice che, con la cura dei metodi antichi e l’amore di un ventre materno, allevava i bachi da seta per trarre quel filo prezioso che fa parte, ormai, della sua produzione artistica.
Rivista Donna l’ha incontrata per voi…
Con la tua opera Animas ti sei qualificata al secondo posto al concorso Lìmen Arte. Cosa hai voluto rappresentare con la tua opera?
Animas – Nido di seta fa parte di una produzione in divenire che si intitola, appunto, Animas. «In quest’opera», come ho scritto nella spiegazione per il concorso, «ho utilizzato un lenzuolo di lino degli anni Trenta e una sottoveste appartenuti alla mia bisnonna materna. Così, partendo da oggetti e ricordi di famiglia», ho inteso omaggiare la figura femminile, «in particolare la tessitrice che, con la cura dei metodi antichi e l’amore di un ventre materno, allevava i bachi da seta per trarre quel filo prezioso che fa parte, ormai, della mia produzione artistica e di questa installazione». Perciò la casa e la famiglia sono nido e rifugio, e insieme soglia che si apre a ricevere il mondo. Negli oggetti più semplici vive l’intimo ricordo che ci lega ai nostri affetti, in un abbraccio fatto di quotidianità, che nell’opera è una ragnatela di fili rossi, bianchi e neri, una presenza sicura alla quale abbandonarci, protetti e curati come bozzoli di seta in un ventre materno, un nido di fil di ferro, che ci prepara alle tempeste dell’esistenza.
Cosa hai provato nell’esserti classificata seconda a questo evento?
Ho provato una grande gioia; il secondo premio, anche se ex aequo con un’altra artista, a un concorso così importante, dove ho avuto la possibilità di esporre con personalità artistiche di grande rilievo, è un grande traguardo. Inoltre, sono molto felice di questo risultato anche perché la mia opera farà così parte della collezione permanente del Museo di Arte Contemporanea di Vibo Valentia. È un Museo molto importante, che raccoglie opere di grandi artisti, tra i quali Arman, Giuseppe Chiari, Giulio Paolini e Daniel Spoerri. Il Premio Lìmen, che quest’anno è giunto alla VII edizione, è un Premio prestigioso, organizzato dalla Camera di Commercio di Vibo Valentia, il cui Presidente è Michele Lico, ed è curato dai critici e storici dell’arte Giorgio Bonomi, Lara Caccia, Gorgio Di Genova e Vincenzo Le Pera.
Com’è nata la passione per l’arte?
È nata in giovanissima età: frequentavo le scuole elementari; ricordo benissimo che si faceva un laboratorio con la maestra, e un giorno le chiesi cosa stessimo facendo; lei, semplicemente, mi rispose: «stiamo facendo arte». Io le dissi, allora, che da grande avrei voluto fare solo questo, e lei mi spiegò che esistevano persone che facevano solo quello e si chiamavano artisti. Penso con affetto alla mia Maestra Margherita. Credo sia fondamentale fare laboratorio e insegnare la manualità sin dalla primissima età. Ecco com’è nata in me la passione per l’arte: grazie a una maestra elementare.
Nel 2012 sei stata selezionata per “Human Rights 2012”, rassegna artistica internazionale per la sensibilizzazione sui diritti umani. Che opere hai presentato per quell’occasione?
Ho presentato l’opera intitolata Io mosca bianca, un trittico pittorico materico; bisognava parlare dei diritti umani, indagare il problema del rispetto e della violazione; la mia era un’opera autobiografica, perché i diritti umani possono essere violati in tanti modi e in tante situazioni. Sono stata poi selezionata altre due volte: nel 2013 con l’opera dal titolo Nessuno è nato schiavo, né signore, né per vivere in miseria, ma tutti siamo nati per essere fratelli, che è una frase di Nelson Mandela. L’opera è un omaggio proprio a Nelson Mandela, «l’uomo», come ho riportato nella spiegazione, «che ha speso tutta la sua vita per dire al mondo che tutti gli esseri umani sono uguali, sperimentando sulla sua pelle che una parte dell’umanità non crede a questa verità». Nel 2015 c’era un tema specifico, “la casa della pace”, e sono stata selezionata con l’opera dal titolo Mahatma Gandhi “sarto della pace”: «quest’opera della produzione Animas, che ricorda la mia famiglia,», scrivo nelle relativa presentazione, «è un omaggio a Gandhi, uomo di pace. Nella sua casa cuciva i suoi abiti con i suoi discepoli per boicottare i prodotti britannici. Anche così educava alla non violenza. Nella casa di Gandhi si cuciva la pace».
Quanto sono importanti, a tuo parere, le iniziative culturali e le rassegne artistiche per sensibilizzare l’opinione pubblica su problematiche sociali?
Le ritengo di massima importanza; l’arte fine a sé stessa è veicolo del nulla; non si può creare solo per mostrare le proprie capacità artistiche! Gli artisti hanno il dovere morale di utilizzare la propria poetica, di qualunque arte sia, per veicolare e dare voce a quelle che sono problematiche sociali spesso ignorate e isolate. Per quanto mi riguarda, in vent’anni di lavoro, con l’aiuto di validi colleghi e collaboratori, ho realizzato tanti progetti, tutti nati da una profonda necessità di focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica verso i problemi della vita quotidiana. Tra essi, “Niente mi pettina meglio del vento”, progetto artistico itinerante che ha lo scopo di far conoscere l’Alopecia Areata, patologia della quale io stessa soffro: ospitato finora presso la Galleria Baccina 66 di Roma – dove ho realizzato anche la performance a tema dal titolo Il coraggio oltre l’apparenza -, la BiblioteCaNova Isolotto di Firenze, Villa Filiani a Pineto (TE), è partito dal Centro Comunale d’arte e cultura Castello San Michele di Cagliari nel 2012. Il 12 Ottobre 2014, “La Corte dei Miracoli”, a Milano, ha ospitato la performance Oltre, ideata e realizzata da me e Noemi Medas, a cura di Fabio Macis, sempre sul tema dell’Alopecia. Un altro progetto è “In Your Shoes”, progetto artistico di solidarietà per sostenere Emergency: presentato il 29 gennaio 2013 a Londra, presso la Vibe Gallery, il 3 luglio 2013 è stato ospitato, ancora a Londra, all’interno dell’evento di Emergency “Gino and Giles in Conversation”; a fine 2015 è approdato a Cagliari, dove si è concluso con una grande lotteria, ottenendo ottimi risultati. Infine, ho ideato, di recente, “Inadeguato”, concorso nazionale, poi mostra collettiva itinerante: prima a Cagliari, nel 2014, poi Sassari, Nuoro, Pescara e Bergamo; si tratta di un progetto che indaga il senso di inadeguatezza degli artisti verso un certo “sistema dell’arte contemporanea”, completamente avulso e lontano dalla realtà, e che si autoalimenta di effimero e bugie. La prossima tappa sarà tra pochi mesi a Roma, a cura dell’artista Maria Diana. Sono tutti progetti itineranti che partono dall’isola e approdano nella penisola e oltre. “In Your Shoes”, “Niente mi pettina meglio del vento” e “Inadeguato”, e altri progetti del passato, mi hanno fatto conoscere come la “gente comune” vede l’arte, e ho capito che le persone hanno bisogno di emozionarsi.
Nel 2013 vincitrice del premio Bucarte. Quali emozioni?
È stata una grande emozione. Ma vivere queste situazioni non è solo godere del momento, è anche occasione d’incontro con artisti e persone che hanno un percorso diverso dal tuo; così, succede a volte che strade differenti si incrocino e nascano rapporti profondi. Proprio in seguito alla vittoria al Premio BucArte, che mi ha permesso di esporre l’opera vincitrice all’interno della Fiera d’arte contemporanea conosciuta come Affordable ArtFair Milano, ho conosciuto Beppe Borella, uno scultore molto bravo che ha un percorso molto diverso dal mio, ma con il quale è nata una vera amicizia e una sintonia artistica che ci porta a collaborare in vario modo, creando progetti insieme. Ecco, quando una vittoria o una selezione a un premio ti porta, poi, a fare incontri umani del genere, allora, tutto ha un gusto e un senso molto più grandi, e la soddisfazione è ancora maggiore.
Oltre alle tante esposizioni nell’isola sei approdata anche a Londra. Come è arrivata l’opportunità di esporre a Londra?
Londra è stata un investimento sulla mia formazione: avevo la necessita di conoscere di persona che cosa fosse l’arte contemporanea fuori dalla Sardegna e dall’Italia, e così, grazie ad alcune amicizie che ho a Londra, si è presentata opportunità di andare nella capitale britannica. La mia esperienza artistica in quella città inizia nel 2010, con l’esposizione di opere in cui il colore è il principale tramite comunicativo, in particolare le produzioni dal titolo Who are we? Where are we going? e Images of joy; una delle prime mostre è stata “Showcase London”, presso il Richmix Arts & Culture Centre, nel quartiere di Shoreditch, vicino alla famosa Brick Lane. Ho vissuto l’impegno artistico a Londra con grande partecipazione. Lì ho conosciuto un ambiente vivo e vitale, in continua evoluzione, e ho visto che sono tantissimi gli italiani che vivono il mondo artistico londinese, artisti, curatori e critici. Tra essi devo citare Bruno Giordano di Art Plasticine e Nadia Spita di Art Cafè London, che mi ha dato anche la possibilità di esporre presso la ArtMooreHouse, della quale è manager e curatrice Elisa Martinelli. Inoltre, a Londra ho conosciuto tanti artisti inglesi e di altri Paesi. Per un breve periodo, ma che si è rivelato importantissimo, esattamente nel 2011, ho avuto una sede espositiva a Camden Lock, il famoso mercato londinese di Camden Town. Quando torni, poi, non sei più la stessa persona, perché conoscere realtà diverse da quella che è la tua quotidianità ti cambia, sempre.
Quali messaggi vuoi comunicare con la tua arte?
Se questa domanda mi fosse stata posta anni fa, ti avrei detto che il mio desiderio era solo quello di raccontarmi. Ora, invece, le cose sono cambiate; da diversi anni il mo fare è finalizzato al sociale, poi è nato il progetto Animas: scelgo i materiali e i supporti da utilizzare con cura, nel mondo tessile dell’antiquariato. Il filo è protagonista nel movimento che si rivela naturale; nell’esecuzione cerco l’armonia ritmica e melodica, è l’opera a dirmi basta. A questo punto la materia utilizzata è diventata la metafora di un ricordo, spesso un vissuto non mio ma una confidenza, un affetto tramandato, così nel mio lavoro ricordo persone che hanno segnato la mia infanzia. Legare la tela o piccoli oggetti mi permette di essere immediata: rappresento legami alle cose, ricordi! C’è chi scrive per non dimenticare, io lego oggetti per ricordare!
Quali sono le correnti artistiche che preferisci?
Sono cresciuta con l’arte isolana, in particolare studiando le opere di Francesco Ciusa, Costantino Nivola, Maria Lai e Pinuccio Sciola. Però, grazie anche alla loro arte mi sono avvicinata a Giò Pomodoro, Manzù, Giacometti, Carla Accardi, Pollock, Egon Schiele, Modigliani, Picasso, Piero Manzoni, Gianni Colombo. Nel 2010 ho partecipato a una Residenza artistica a San Sperate, presso la Scuola d’arte contemporanea di Pinuccio Sciola, e da quel momento considero il padre delle Pietre sonore il mio Maestro. Posso dire che Concettuale e Minimal sono le correnti che più mi interessano; è la ricerca della semplicità della forma, l’orizzonte al quale guardo.
Quali sono le tecniche che utilizzi di più?
Quello che è definito materico, e che utilizzo in tutte le forme artistiche, dalla scultura alla pittura, all’installazione, e anche nella performance e nella poesia, due modalità espressive che ultimamente sto sperimentando in modo sempre più consapevole.
Quando ci si può definire artisti?
Per quanto mi riguarda, penso che non sarò mai in grado di definirmi artista; in gioventù non mi rendevo conto del peso e dell’importanza di questa parola, oggi la vedo come una cosa troppo grande. L’essere artista non è solo avere capacità manuali e tecniche, è molto di più, è riuscire a far sentire, a donare agli altri, facendola sentire loro, un’emozione. La tecnica è capacità, non è arte, arte è riuscire a far emozionare gli altri. In Italia siamo tutti artisti, siamo tutti sul palcoscenico, come se fare arte fosse la cosa più semplice del mondo, per questo non mi piace essere chiamata artista.
Nel corso degli anni che rapporto si è creato con il tuo pubblico e i critici d’arte?
In questi ultimi anni ho avuto l’occasione di lavorare con famosi curatori e critici d’arte, soprattutto in Italia, che mi hanno lasciato la più ampia libertà di esprimermi; sono nate, così, collaborazioni caratterizzate da grande fiducia, molto importanti per la mia crescita, come, ultimamente, con Aberto Dambruoso e Lara caccia. Tutto ciò mi ha permesso di vedere come il pubblico reagisce al mio lavoro, e mi sono resa conto che riesco a emozionare, e questo mi rende felice. Mi piace molto stare con il mio pubblico, le persone che vengono alle mie mostre sono materia di studio, per me, sono le persone che investono di più nel mio lavoro.
Da cosa trai ispirazione?
Questa è la domanda che ho sempre temuto che mi facessero, perché ho realizzato le mie più importanti produzioni quando stavo male, mentre vivevo situazioni di disagio; un’opera, o un’intera produzione, nasce prima di tutto per un’esigenza: tirare fuori un dolore, liberarmi da una sofferenza che mi opprime.
Puoi darci un’anticipazione sulla tua prossima opera?
Raramente racconto in anticipo quello che voglio fare, perché voglio capire bene, prima, che cosa vuole nascere dentro di me. Posso dire, però, che continuerò il lavoro di trame iniziato con Animas. L’ultima mia personale è ancora per pochi giorni allo Spazio (In)visibile di Thomas Lehner, a Cagliari, a cura di Efisio Carbone: fino al 27 febbraio. Colgo l’occasione per anticipare che dal 5 all’8 marzo prossimo sarò a Selargius, ospite della rassegna culturale “In Arte Donna”, a cura della Fondazione Faustino Onnis Onlus, dove presenterò un piccolo riassunto della mia ultima produzione. Prima della fine dell’anno ho in programma altri impegni artistici in Italia.