Anna Oppo: Marito e moglie eroi moderni
- Fra le trasformazioni sociali più rilevanti che sono venute a maturazione in questo inizio di secolo non vi è dubbio che vi siano i mutamenti delle strutture e delle relazioni familiari. Vi sono molte forme di famiglia oggi:
famiglie composte da una sola persona, famiglie monoparentali, composte da un solo genitore con figli, famiglie ricostituite formate da coppie con precedenti esperienze matrimoniali e di genitorialità. E anche molte delle famiglie coniugali tradizionali hanno assunto nuove connotazioni, con l’assunzione di ruoli lavorativi delle mogli-madri e la lunga permanenza dei figli nell’ambito familiare ben oltre la fine degli studi o l’acquisizione di una autonomia economica. E vi è anche la crescente presenza di famiglie con un unico figlio. E un numero sempre più numeroso di coppie sceglie di fare famiglia al di fuori del vincolo matrimoniale legale. Senza contare che coppie composte da persone dello stesso sesso rivendicano un loro diritto ad essere considerate famiglia, da un punto di vista sociale e legale. Molte di queste configurazioni familiari non sono, peraltro, una novità nella storia della famiglia occidentale. Per altre cause – soprattutto demografiche ed economiche – il panorama delle famiglie europee ha presentato grandi variazioni con numeri ragguardevoli di persone che vivevano sole, di vedove e vedovi con figli, di secondi matrimoni degli stessi, di famiglie cosiddette “senza struttura” composte da gruppi di fratelli e sorelle o da qualche nonna con i nipoti. E non era raro che figli adulti continuassero a vivere con i genitori senza mai accedere al matrimonio e ad una famiglia propria. Solo a partire dal XIX secolo, dopo la fine delle grandi perturbazioni demografiche, diventa “normale” quella famiglia composta da entrambi i genitori con numerosi figli che siamo abituati a considerare come la tipica famiglia del passato. Al giorno d’oggi il variegato quadro delle forme familiari sono l’esito di comportamenti sociali e demografici che, almeno in Italia e in Sardegna, si sono intensificati a partire dalla seconda metà del XX secolo: il declino della nuzialità e della fecondità, la crescita dell’instabilità coniugale, la crisi del matrimonio come istituzione, un ingresso relativamente massiccio delle donne nel mercato del lavoro dopo un intenso processo di scolarizzazione. E, accanto a tutto ciò, l’aumento delle speranze di vita che hanno ridisegnato il corso di vita di singoli e gruppi. Riferendosi in modo particolare alla Sardegna basti pensare che l’isola risultava, ancora nel 1971, come la regione che aveva i più alti quozienti di fecondità delle regioni italiane mentre oggi essa è la meno prolifica dell’Italia. Egualmente, la Sardegna registra oggi età medie al matrimonio fra le più alte del paese così come sono molto elevate e, crescenti, le percentuali di persone di entrambi i sessi che non accedono al matrimonio o alla genitorialità. I cambiamenti strutturali si sono accompagnati a cambiamenti molti più profondi nelle relazioni familiari. La famiglia che ci siamo lasciati alle spalle – e che non è del tutto tramontata – era connotata da una gerarchia che poneva in posizione disuguali i generi e le età: a capo il marito- padre, in posizione subordinata la moglie e i figli, l’ultima posizione essendo occupata dalle figlie. E i sentimenti dominanti che legavano questo insieme di persone erano il rispetto e la deferenza che i subordinati dovevano mostrare in ogni momento verso coloro che occupavano le posizioni più importanti: moglie e figli verso il capofamiglia, fratelli minori verso i fratelli maggiori, sorelle verso i fratelli. In breve, la famiglia patriarcale. I processi che hanno portato a queste trasformazioni sono numerosi e complessi. Qui prenderei in considerazione solo uno di questi processi, vale a dire quel secolare movimento che ha portato all’aumento progressivo del grado di comportamento e dei tradizionali meccanismi di controllo sociale. Nel corso degli ultimi secoli, e limitatamente ai paesi occidentali, è andato crescendo il valore della libertà individuale, affermandosi l’esigenza di quel che i sociologi chiamano individualizzazione. Ciò significa che la singola persona, diventa sempre più importante rispetto al gruppo, l’io rispetto al collettivo. Se per secoli il singolo ha dovuto adeguarsi ai modelli di comportamento elaborati nel succedersi delle generazioni, col crescente processo di individualizzazione il rapporto si rovescia, vengono alla ribalta le esigenze differenziate dei singoli, declina la sacralità dei modi di fare considerati indiscutibili o, per meglio dire, mai discussi. Nelle relazioni affettive, familiari, sessuali, nel senso della vita e della sua qualità, nel modellare la propria identità, nel rapportarsi al pubblico – lavorativo o politico – vale la scelta personale, la valorizzazione della propria unica, irripetibile esperienza. Questo lungo processo storico ha investito gruppi e realtà sociali via via sempre più vasti. Gli ultimi arrivati, nel XX secolo, sono state le donne – e, quasi di riflesso, i bambini. E l’ultimo bastione a cedere alle forti correnti di emancipazione dai vincoli delle verità indiscusse e dalle gerarchie sociali che sembravano iscritte nella natura e, perciò immodificabili, sono state le famiglie. Sono crollati pian piano i bastioni che reggevano la famiglia patriarcale: al matrimonio di convenienza si sostituisce il matrimonio per inclinazione, i figli non sono più i futuri continuatori del nome e della stirpe, o la futura forza lavoro della compagine familiare, ma anch’essi incominciano ad acquistare il loro spicchio di soggettività, capaci di inclinazioni, preferenze, affetti. Cambiano, di conseguenza, i principi che legittimavano il matrimonio e le convivenze familiari. Entro i confini della famiglia fa irruzione l’amore e il desiderio: ci si sposa per amore e quando l’amore non c’è più il matrimonio si scioglie; i figli devono essere desiderati come un bene in sé e non per i vantaggi che questi avrebbero portato nel futuro; e ogni figlio è un progetto aperto, da seguire con cura e attenzione, da lanciare nel mondo col maggior numero possibile di chance per la sua realizzazione personale. I legami familiari diventano, dunque, legami affettivi, intimi, che lasciano poco spazio ai sentimenti di deferenza e rispetto. Forse non vi è niente di più eloquente nell’illustrare questi passaggi del cambiamento nell’uso dei pronomi allocutivi fra familiari, da quelli della deferenza a quelli dell’intimità: il passaggio dal lei, al voi, al tu nel rivolgersi al marito- padre o agli anziani della famiglia da parte dei subordinati e dei più giovani. Oggi il “tu” sembra scontato ma ancora non molto tempo fa non era inusuale, specie nelle zone più conservative come molti luoghi della Sardegna, sentire figli, generi e nuore che davano del “lei” ( in sardo “fustei”) ai genitori o ai suoceri. Una famiglia basata sull’intimità e l’affetto e su solidarietà materiali che hanno a fondamento proprio tale affettività sembra ben più fragile di quelle costruzioni sociali regolate da norme apparentemente immutabili qual era la famiglia patriarcale. Nelle famiglie di oggi ogni componente è potenzialmente un soggetto capace di esprimere inclinazioni, scelte e decisioni. Per quanto continuino a permanere, in misura più o meno grande, i resti di vecchie asimmetrie la distribuzione delle risorse personali non è più esageratamente squilibrata e ognuno ha la possibilità e il diritto di negoziare con gli altri familiari le proprie scelte di vita o, semplicemente, segnalare le proprie esigenze, anche i bambini. Le negoziazioni richiedono abilità e pazienza, comportano conflitti, possono concludersi con rotture, con il loro carico di incertezza e dolore. Fare famiglia oggi sembra un’ impresa che richiede grande impegno e una accentuata attenzione alle dinamiche interpersonali. E si sa che si può fallire. Ma, al presente, non abbiamo nessun’altra famiglia se non quella che è la nostra famiglia, comunque composta, comunque costruita. E non va dimenticato che “il mondo che abbiamo perduto” non era un mondo di felice convivenza: nelle famiglie del passato vi era molto silenzio, molto dolore, molta violenza sui più deboli. Non più tardi degli anni Sessanta del XX secolo un’osservatrice dei costumi sociali della Sardegna meridionale poteva registrare questa scena: “ E’ accaduto … di offrire un passaggio ad una donna giovane che, all’imbrunire camminava scalza con due figli in braccio, uno di pochi mesi e l’altro di pochi anni, lungo la strada che congiunge tra loro due paesi distanti alcuni chilometri. La donna, singhiozzando, spiegò che tornava da sua madre dopo una scenata nel corso della quale era stata picchiata dal marito… Il commento di un osservatore del luogo, quando la donna fu arrivata a destinazione, fu che certo il giorno seguente la giovane madre sarebbe tornata a casa, dopo aver assistito ad una scenata analoga tra suo padre e sua madre” ( Anfossi, nuova edizione 2008, p. 120).
Anna Oppo sociologa – docente sociologia Università Scienze Politiche Cagliari