Lidi, con il lockdown siamo diventati tutti misantropi
“Il Misantropo sente la minaccia dell’altro: è una minaccia per il suo amore, per la sua integrità, per il suo pensiero.
Durante il lockdown abbiamo vissuto l’altro con distanza, non potendolo invitare a casa, non potendolo abbracciare, non potendo condividere lo spazio e il tempo.
Ho pensato che questo lascerà in noi qualcosa di profondo, non so bene cosa, ma il teatro ha la funzione di porsi le domande del dopo”. Così il giovane regista Leonardo Lidi spiega la scelta di mettere in scena il capolavoro di Moliere, a 400 anni dalla nascita del grande drammaturgo francese. La produzione del Teatro Stabile di Torino debutta il 3 maggio, in prima nazionale, al Teatro Carignano. “Moliere è un autore che ho sempre amato e ho sempre studiato. Ne avevo già parlato con lo Stabile, è arrivato finalmente il momento. Ho scelto Il Misantropo perché è sicuramente un classico che può aiutarci a trovare le risposte che cerchiamo”, spiega Lidi che individua nel tema dell’amore la specificità della sua lettura del Misantropo.
“Tutti i personaggi sono in scena per cercare il loro amore, a volte nascosto, a volte non corrisposto. E’ un tema delicato. La grandezza è quella di affrontare i massimi sistemi e concetti filosofici attraverso l’amore. E’ stato molto bello cimentarsi con questo testo”. Il Misantropo, analisi implacabile della società attuale a quasi quattro secoli di distanza dal debutto nel 1666, è interpretato da Christian La Rosa, Giuliana Vigogna, Orietta Notari, Francesca Mazza, Marta Malvestiti, Alfonso De Vreese, Riccardo Micheletti. Lidi sottolinea la scelta di puntare su due protagonisti giovani, ‘under 35′, “un’eccezione rispetto alla scena italiana”. “Una scelta politica molto forte – osserva – da parte del Teatro Stabile di Torino che, con coraggio, mette in una prima nazionale al Carignano un regista e degli attori giovani. Troppo spesso ci dimentichiamo di dare spazio a giovani donne e giovani uomini italiani”. Lidi tiene molto al punto di vista femminile: “Celimene è vista come una scalatrice sociale, che con trucchi seduce i concittadini, mentre per me è fondamentale sottolineare la parte bella, la parte umana di questa donna che chiede di non rinchiudersi e di non distaccarsi dal mondo. E’ una vedova di vent’anni, il marito è morto da poco tempo. Moliere non ci dà altre indicazioni, ma possiamo supporre che sia la vittima di un matrimonio non felice e appena è libera si ritrova con un fidanzato che le chiede di isolarsi dal resto del mondo”. Lo spettacolo dura un’ora e venti senza intervallo: “Moliere parlava direttamente al suo pubblico. Noi non possiamo chiuderci in una bolla museale. Il pubblico deve seguire dall’inizio alla fine tutto il lavoro” spiega Lidi che, oltre alla regia, ha curato anche l’adattamento del testo.