Le madri della Costituzione
La Costituzione italiana ha più di sesant’anni. Il progetto di Costituzione fu approvato dall’Assemblea costituente il 22 dicembre 1947. Riportò 214 voti a favore e 145 contrari. Il Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola appose la sua firma per la promulgazione il 27 dicembre 1947, e sempre nello stesso giorno il testo fu pubblicato in una edizione straordinaria della Gazzetta Ufficiale n. 62 Riportò 214 voti a favore e 145 contrari. Il Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola appose la sua firma per la promulgazione il 27 dicembre 1947, e sempre nello stesso giorno il testo fu pubblicato in una edizione straordinaria della Gazzetta Ufficiale. Cinque giorni dopo, la Carta costituzionale entrò in vigore. Era il 1° gennaio 1948. Si chiudeva così quella fase di transizione che a partire dalla caduta del fascismo (25 luglio 1943), attraverso il referendum istituzionale e la concomitante elezione dell’Assemblea costituente (2 giugno 1946), giunse infine a fondare la Repubblica italiana dotandola di una propria Carta costituzionale, condizione indispensabile per la piena ripresa della vita democratica nel Paese.
Può essere interessante ricordare tra i diversi aspetti che rendono importante questa ricorrenza il ruolo svolto dalle donne. Perché se da un lato è divenuto usuale rendere omaggio ai membri dell’Assemblea costituente riconoscendo a essi per l’opera meritoria svolta il titolo di «padri fondatori» della Repubblica, dall’altro lato ciò non deve far dimenticare che in quell’Assemblea era presente a pieno titolo anche un gruppo di donne. Con pensiero di non minore riconoscenza meriterebbero anch’esse di essere ricordate a buon diritto come le «madri fondatrici» della nostra costituzione. Furono infatti 21 le donne elette il 2 giugno 1946 all’Assemblea costituente: 9 appartenevano alla Democrazia Cristiana, 9 al Partito Comunista Italiano, 2 al Partito socialista e una all’Uomo Qualunque. Cinque di loro entrarono nella «Commissione dei 75» incaricata di scrivere la Carta costituzionale: Maria Federici e Angela Gotelli per la Democrazia Cristiana, Teresa Noce e Nilde Iotti per I’ italiana dopo un ventennio di assenza forzata dalle consultazioni elettorali.
Sebbene i leader dei due maggiori partiti politici, Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, fossero stati tra i più tenaci sostenitori del voto femminile, i timori sulle scelte elettorali delle donne erano assai diffusi anche all’interno delle due maggiori compagini: i comunisti temevano l’influenza della
Chiesa sul voto femminile, i democristiani paventavano il contrario. I partiti minori, dal canto loro, erano più che certi che il voto delle donne avrebbe premiato soprattutto i grandi partiti di massa. Tra le incertezze e i timori della vigilia elettorale aleggiava il vecchio pregiudizio sull’immaturità delle donne a prendere parte alla vita politica del Paese.
L’affluenza alle urne delle donne superò ogni previsione. Si trattò di una vera partecipazione di massa. Votarono oltre 12 milioni di elettrici, con il Partito Comunista, Tina Merlin per il Partito Socialista. E’ comprensibile che durante la campagna elettorale del ’46 si guardasse al voto delle donne con misto di interesse e di apprensione.
Era la prima volta che le donne partecipavano ad una votazione politica generale. Avrebbero votato in massa o si sarebbero per lo più astenute? Come si sarebbe indirizzato il loro voto tra i diversi partiti e, all’interno di questi, a quali canditati avrebbero affidato il compito di redigere la nuova carta costituzionale? Domande che riflettevano non soltanto l’incertezza ma anche l’importanza attribuita al voto femminile.
Non foss’altro perché le donne rappresentavano la maggioranza degli aventi diritto al voto.
L’elettorato femminile contava, infatti, più di 14 milioni di elettrici, pari al 53% del totale degli iscritti nelle liste elettorali. La posta in gioco era, inoltre, molto alta: non si trattava soltanto di scegliere la forma di Stato, con il voto sul referendum tra Monarchia o Repubblica, ma anche di misurare con l’elezione dell’Assemblea costituente, la reale forza dei singoli partiti che si presentavano di nuovo sulla scena politica cento, e la seconda, nata nel primo quindicennio del novecento, avevano avuto modo di partecipare alla vita politica e sindacale negli ultimi anni dello stato liberale, mentre la terza generazione ricomprendeva le più giovani che erano nate sotto il fascismo e che solo da poco avevano ultimato gli studi.
Geograficamente venivano tutte dalla penisola, in prevalenza dalle regioni del Centro-Nord. Ma una di loro, Nadia Gallico, nata a Tunisi, rappresenterà idealmente la Sardegna, la terra in cui era nato il marito, Velio Spano. Quanto al grado d’istruzione, hanno titoli di studio sensibilmente più elevati rispetto alla media delle italiane di quel tempo: in maggioranza sono laureate, sposate e con figli a carico. Ma di là delle differenze di provenienza geografica, di stato civile, d’istruzione e di appartenenza partitica ciò che più di ogni altro aspetto sarà decisivo nella formazione politica delle donne dell’Assemblea costituente è la partecipazione di quasi tutte alla Resistenza: un’esperienza vissuta sia pure in forme diverse che alimenterà di valori e d’idealità civili quell’impegno generoso che le indusse a superare non poche difficoltà pur di contribuire a gettare le basi del nuovo ordinamento repubblicano.
Come ha scritto di recente Barbara Pezzini («Studi e ricerche di storia contemporanea», 2007, fasc. 68, pp. 163-187) il rapporto tra donne e costituzione è certamente «un luogo privilegiato nel quale osservare sia le “radici” che il “cammino” della Costituzione italiana del 1948». E questo per almeno tre buone ragioni. In primo luogo, perché il suffragio universale unito all’eleggibilità delle donne in seno all’Assemblea costituente diede vita ad un potere costituente interamente nuovo rispetto al preesistente ordinamento monarchico-statutario in quanto ha posto l’uguaglianza tra uomini e donne direttamente alle radici dei processi decisionali che hanno portato alla formulazione e alla promulgazione della Costituzione repubblicana. In secondo luogo, perché queste stesse radici hanno di fatto plasmato l’impianto delle norme costituzionali volte sia alla non discriminazione fra i sessi sia al riconoscimento della differenza di genere. Da questo punto di vista la Costituzione repubblicana era e resta tuttora fortemente innovativa, soprattutto quando introduce la differenza di sesso direttamente tra i «principi fondamentali» all’articolo 3 (in cui si vieta ogni discriminazione fondata sul sesso) e quando conferisce un fondamento giuridico di valore costituzionale alla differenza di genere, riconoscendo in numerosi articoli una posizione differente degli uomini e delle donne (in forma esplicita, negli art. 36, 37, 31, e, in forma più indiretta, negli articoli 29, 48 e 51). Infine, perché l’ingresso delle donne nei luoghi della rappresentanza politica se da un lato ha posto i principi di una democrazia consapevolmente declinata rispetto al genere, capace, cioè, di riconoscere le differenze tra i sessi e di assumerle in modo non discriminatorio — dall’altro lato ha reso possibile misurare il cammino compiuto in tal senso nell’arco dei sessant’anni di vita della Costituzione. Un cammino che consente, per converso, di valutare quanta strada resta ancora da percorrere per dare compiuta attuazione a quei principi mediante le leggi ordinarie nelle quali siano definite le posizioni relative degli uomini e delle donne nei vari ambiti della vita sociale – dalla famiglia, al lavoro, alla sfera politica.
Dall’avvio del processo costituente, non si può fare a meno di osservare quanto l’attuazione di questi principi fondamentali sia stata faticosa e lenta, e lungi dal potersi dire pienamente realizzata. La distanza tra le norme costituzionali e la legislazione ordinaria rivela, inoltre, il potenziale di trasformazione sociale che resta ancora incorporato nella Costituzione. Soprattutto da un’idea di quali e quante opportunità questa può ancora offrire per orientare al meglio i mutamenti che riguardano la posizione degli uomini e delle donne nella società del nostro tempo: dalle libertà personali alle relazioni sociali tra i sessi, dal- la bioetica al pieno sviluppo di quella democrazia duale, formata da uomini e da donne, alla quale seppero guardare con lungimiranza «i padri» e «le madri» della nostra Costituzione repubblicana.