La Shooting Factory a Roma di Sonia e Arianna: intervista per RIVISTA DONNA

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Daje che me ‘nvecchio!” è scherzosamente diventato il loro motto, il loro mantra; due uragani da cui è diffcile non farsi travolgere. Sonia e Arianna; la Shooting Factory. “Perché le donne si rialzano sempre, forti di una capacità di ricostruirsi tutta loro”, mi dicono.

 Rivista Donna si trova nella zona industriale del comune di Formello, una manciata di chilometri a nord di Roma. Sono passati due anni dall’ultima volta in cui sono stata qui, da quando – pochi mesi dopo la scomparsa di Alberto – si iniziava a parlare di portare comunque avanti il progetto di un uomo che aveva fatto del suo lavoro un ideale, una filosofia. Sono passati due anni e, a dispetto degli ostacoli e delle difficoltà, Sonia Moscati ce l’ha fatta.

Ce l’hanno fatta. Lei, Arianna e Annalisa Bonafede e quanti, insieme a loro, hanno continuato a crederci.

Ci incontriamo nel cuore pulsante della loro attività, dove, su due divani arancioni, immerse nel mondo delle immagini, mi raccontano di loro e di quello che è, oggi, fare fotografia.

Partiamo dalle origini, Sonia; chi era Alberto Petra?

Era mio marito. Una persona dotata di una cultura fotografica senza eguali, forse paragonabile a quella di un Ansel Adams: l’ho visto utilizzare tecniche fotografiche di ogni genere, stampare da sé le proprie immagini. È stato un fotografo professionista nell’ambito della moda e della pubblicità per quasi trent’anni; poi, con la comparsa del digitale, ha deciso di fare un passo indietro, tirarsi fuori dal mondo puramente commerciale e ritornare a una sua vecchia passione, l’insegnamento. Si è sempre ritenuto una persona ricca di un bagaglio di conoscenze da mettere a disposizione di quanti fossero interessati. Lui non insegnava semplicemente, ma trasmetteva. Era una persona che si è sempre data al massimo nello spiegare la fotografia, che non ha mai tenuto per se i misteri. “Ti posso dare tutti gli strumenti, ma se non hai quel qualcosa in più, non puoi fare Fotografia”, diceva…

Cosa è oggi la Shooting Factory?

Un’associazione culturale che mira all’informazione e alla divulgazione fotografica. Ho volutamente ripreso il nome esatto che Alberto aveva scelto per il suo progetto. Non siamo una scuola di fotografia, né io sono una fotografa – in casa uno bastava e avanzava! – ma posso contare su tutte quelle conoscenze ed esperienze accumulate lavorando al suo fianco. Tutto quello che precedeva lo scatto finale era per me pane quotidiano: ho seguito l’art direction dei suoi lavori, abbiamo lavorato insieme nella nostra agenzia pubblicitaria. E siamo stati, prima di tutto, una coppia.

Ma è soprattutto grazie alle due persone che oggi sono qui – Arianna e Annalisa – se sono riuscita a farmi forza e costruire tutto ciò, aggiungendo alla mera attività fotografica realtà differenti, più vicine alla mia natura femminile.

Non osavo neppure entrare, era per me un mausoleo; mi sono fatta violenza e ho iniziatro a metterci le mani, organizzando laboratori d’arte, eventi e mostre.

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E così un anno fa inizia a prendere concretamente forma questo fortunato connubio tutto al femminile.

Esatto. Ci siamo guardate in faccia e ci siamo dette “Non è possibile che una struttura come questa, quasi unica nel suo genere, non solo a Roma ma in tutta Italia, rimanga inutilizzata”. Siamo riuscite a farlo diventare un punto di ritrovo così come io l’avevo immaginato in origine: ero partita con l’idea di proseguire il percorso di Alberto, tenendomi ben distante dalle speculazioni commerciali. Abbiamo iniziato a provare, a metterci in gioco, per poi arrivare a contattare fotografi rinomati del calibro di Alberto Buzzanca, Enzo Truppo o Armando Andreoli.

Arianna, tu e Annalisa siete sorelle. Come avete conosciuto Sonia?

Eravamo entrambe allieve di Alberto. Due o tre volte a settimana capitava che ci trattenessimo fino a tarda notte in studio per continuare a scattare o postprodurre foto. E spesso ci raccontava della sua famiglia. Sentivamo parlare della moglie, dei figli, dei cani, pur non avendoli mai visti. Ci siamo incontrate la prima volta il giorno in cui Alberto è venuto a mancare e, da allora, non ci siamo più lasciate. Non si è trattato di un avvicinarsi dettato dalla compassione o dal bisogno di condividere un dolore differente ma comune; è stato più un feeling immediato, quasi chimica. Avere poi obiettivi e desideri simili, ricercare lo stesso “qualcosa”, non ha fatto che legarci ancora di più. Abbiamo tutte e tre la stessa meta, anche se spesso cerchiamo di raggiungerla con strategie differenti.

Ora cosa bolle in pentola?

Sonia: Tanto. Non ci fermiamo mai. Abbiamo iniziato a promuovere piccoli tour fotografici nei dintorni, come quello a Civita di Bagnoregio in programma per la fine di novembre. A Natale invece il tema delle contaminazioni sarà il filo conduttore di quello che potremmo erroneamente definire un mercatino e in cui tutto il territorio limitrofo si incontrerà con il Sudafrica. Dalla scorsa estate, ci siamo infatti attivamente impegnate nella lotta contro la violenza sulle donne e sui bambini, partendo dal progetto di Janine Rowley, Woman against rape. Per carnevale abbiamo poi in programma un viaggio a Venezia.

L’essenza fondante di qualsiasi iniziativa rimane però il desiderio di creare momenti di condivisione, soprattutto visto il momento storico che stiamo attraversando e in cui è ancora più importante ritrovarsi. Più ci isoliamo nelle nostre disperazioni, meno riusciremo ad uscirne.

Noi creiamo alibi; offriamo occasioni in cui avere l’opportunità di incontrarsi in un ambiente accogliente, caldo, familiare, dove la macchina del caffè è sempre accesa.

Arianna: Qui nascono prima di tutto amicizie, sintonie. Abbiamo cercato di venire incontro a tutte quelle persone che non hanno un proprio spazio adibito a sala fotografica a causa dei prezzi troppo onerosi. Uno studio deve avere caratteristiche particolari, deve possedere un’attrezzatura di base. Noi ci rivolgiamo prima di tutto ai fotoamatori, offrendo un servizio che li accompagna anche nella scelta della modella giusta o della make-up artist, tutte persone selezionate dal destino per noi e che noi abbiamo saputo riconoscere.

Chiunque venga qui confessa di sentirsi subito a casa, circondato da energia positiva. Non siamo una scuola, un luogo in cui fare vanto delle proprie conoscenze; condividiamo una passione comune, con umiltà e senza saccenza, avendo sempre cura del dettaglio.

Sonia: Questa è la nostra realtà. Tutti i giorni ci incontriamo qua, iniziamo a ragionare, proviamo e promuoviamo nuove iniziative, con l’intento di acquisire sempre più fiducia da parte del prossimo. Siamo tecnici delle luci, art director e stylist al tempo stesso. Abbiamo sicuramente bruciato molte tappe, ma siamo ancora in rodaggio.

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Durante l’intervista la nostra inviata per Rivista Donna Maria Laura Pala

Siete donne che hanno puntato tutto sulla propria forza interiore. Parlatemi della donna Shooting Factory. Come è, come deve essere?

Promuoviamo una donna volutamente diversa dai canoni tradizionali, che

sappia prima di tutto interpretare. La bellezza puramente estetica è secondaria. Possiamo passare da una modella pin-up, con fianchi larghi e vita stretta, a quella un po’ più androgina e retrò, con un’immagine quasi più rarefatta, rispecchiante i canoni di Chanel. Fondamentale è che sia sempre idonea alle diverse circostanze in cui viene presentata.

Come nel caso di un nudo artistico: lì serve una modella che stia bene con il proprio corpo, con una grande capacità interperetativa; deve essere elegante, morbida, sensuale. perché la femminilità deve essere anche saputa indossare.

La Shooting Factory in tre parole

Sonia: Donna, intraprendenza e condivisione.al

Arianna: Energia, entusiamso nei confronti della fotografia e qualità. Sempre.

Ma la fotografia è uomo o donna?

È bisex!

Maria Laura Pala

 Fotografo  Daniele Kook.