Banditesse di Sardegna
E’ una giovane di circa quarant’anni che non si è voluta sposare per non dipendere
da un uomo, secondo quanto lei stessa afferma. Ha due mustacchi da granatiere e usa le armi e il cavallo come un gendarme”. Siamo nella prima metà del 1700. Il ritratto è di una donna sarda d’altri tempi, femminista certamente no, emancipata sicuramente si. Forte dei suoi ideali, decisa, indipendente, nonostante, come ben sappiamo, la fi gura femminile nel passato fosse relegata a ben altre faccende, pur ricoprendo un ruolo di spicco e di potere secondo le leggi non scritte di una radicata e ben funzionante società matriarcale. Integra. Ma ‘fuorilegge’. Una banditessa, esponente di quella piaga sarda, il banditismo appunto, che nato per contrastare il ‘dominio dello straniero’ in Sardegna, ha poi finito per diventare un metodo violento di protesta, causa di omicidi e lotte senza esclusione di colpi. Riporta il grande storico Giuseppe Manno, di cui leggiamo nel libro di Paolo Fresi, Banditi di Sardegna, preziosa fonte in questa nostra ricerca storica: “La Sardegna era in quel tempo tribolata da varie bande di malviventi, che, formicando per ogni dove, non solo turbavano la quiete comune, ma faceano anche vista di voler sopraffare lo stesso governo, andato il piu’ delle volte a rilento nel combatterli”. Ma torniamo alla ‘banditessa’, cercando di fotografare questo curioso personaggio da un angolo diverso da quello che la parificherebbe ai suoi colleghi uomini banditi. Non vogliamo certo, d’altro canto, proporre un modello di donna, ma soltanto fare qualche considerazione e riflessione su una delle figure femminili, a suo modo speciale, di cui la Sardegna del passato ci ha lasciato memoria, ben consapevoli di parlare di un ruolo politicamente non imitabile. La donna di cui si parla nell’incipit, in realtà parte di una lettera che il vicerè di Sardegna scriveva verso il 1735 al re Carlo Emanuele III, è Donna Lucia Delitala, appartenente ad una delle più ricche casate di Nulvi, spezzata in due fazioni avverse, dove a combattere erano anche le donne. “Ed
una gentildonna di quel casato – ci suggerisce il Manno – donna Lucia Delitala, dava loro l’esempio dello stare immota in su l’arcione e del lanciarsi con il cavallo tra i balzi e dell’affrontare gagliardamente l’inimico e dell’imbroccare da lunge collo schioppetto. Non perciò
solo d’animo virile; poichè sentendo di sè meglio di quello che fosse disdicevole a femmina, ricusò, finchè visse, le nozze e l’amore d’un sesso di cui non sapeva sofferire la superiorità”.
Personaggio scomodo per il governo piemontese, ma una sorta di eroina per la gente comune. La tradizione popolare la ricorda infatti come l’amazzone di Nulvi, donna dal fascino straordinario,
illuminata da un bel sorriso, dotata di grande coraggio, abile nei combattimenti a cavallo e amante della vita e della libertà. Il suo volto diveniva accigliato e duro solo quando doveva
affrontare una battaglia. Era molto apprezzata e stimata per la sua lealtà anche dai
suoi ‘colleghi uomini’, con cui lavorava a stretto contatto. Lei capeggiava infatti, insieme al Bandito di Chiaramonti Giovanni Fais e a sua moglie Chiara Unani, una banda di sprezzanti guerriglieri che contrastava l’autorità Piemontese. E non si risparmiava, era sempre in
prima linea con la sua ‘spericolata irruenza’ ci riferisce il Fresi. Abbandonò la sua posizione dopo la rivolta di Chiaramonti che le costò una condanna a 15 anni in contumacia per dedicarsi alla guerriglia, rifugiandosi poi probabilmente in Corsica. Sulla sua morte non si sa molto, le voci che arrivano dalla tradizione orale si rincorrono fino a sfociare nella più fantastica delle storie popolari. Probabilmente morì tra il 1755 e il 1767. Dove e come non si sa. Nel cimitero di Nulvi, dove ci sono le tombe dei Delitala, nessuna lapide ha inciso il suo nome. Potrebbe essere
morta in seguito ad una caduta da un dirupo, o uccisa in Corsica da alcuni pastori transumanti. Ma Donna Lucia “era … uomo da farsi sorprendere così facilmente”? Una cosa è certa. Morì nubile e ricchissima e lasciò tutti i suoi averi alla chiesa. Ma non è l’unica banditessa di cui
si hanno notizie in Sardegna. Altre due donne, entrambe provenienti da ricche famiglie, si sono distinte in questo ruolo: Maria Antonia nota come Sa Reina di Nuoro e Paska Devaddis di Orgosolo. Sa Reina visse a Nuoro a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Era una donna un pò diversa da Lucia. Non scelse la latitanza, ma ne fu fiera sostenitrice. Apparteneva ai Serra-Sanna, una temutissima famiglia povera di origini, divenuta proprietaria di case, terreni e molti capi di bestiame, grazie anche all’impegno di Maria Antonia. “Lei incedeva altera – ci racconta il Fresi – le forme robuste nascoste dal ricco costume smagliante di ori, candore di lini e rosso sangue di porpora. Il viso eretto, bello di un’ardita bellezza, era come abbrunito dal nero profondo degli occhi”. Capace però di imbracciare il fucile e di assumere sembianze maschili per girare liberamente nelle campagne circostanti dove agivano indisturbati i suoi due fratelli latitanti, Giacomo e il temibile Elias, a cui forniva informazioni e riserve d’armi. Fu lei l’eccellente tramite tra il paese e i territori circostanti dove la legge non si poteva applicare. Il governo piemontese la definiva “un accidente mandato da Dio sulla terra per dannazione del genere umano”. La sua attività cessò giocoforza nella notte tra il 14 e il 15 maggio, meglio conosciuta come notte di San Bartolomeo, nella quale l’autorità regia, grazie ad un’azione a sorpresa, riuscì a compiere arresti eccellenti, tra cui quello de La Regina di Nuoro, che nel 1900 fu condannata a 18 anni di carcere. Infine Paska, una giovane donna divenuta banditessa in seguito al coinvolgimento della sua famiglia nella faida tra due casate di spicco della Barbagia di allora, i Cossu, vicini al governo piemontese, e i Corraine intolleranti verso tale autorità. Orgosolo, 1912: Paska, piuttosto che rimettersi ad un mandato di cattura, decide di darsi alla macchia, rinunciando anche ad una fuga in America insieme al fidanzato Michele Manca, che mai riuscì a sposare perchè lui scontava una pena per omicidio. “Una giovinetta costretta anche lei a prendere la via della montagna – ci riferisce Fresi riprendendo un testo di Brigaglia – capace
di cavalcare e sparare come i suoi compagni di latitanza: quando muore, di tisi e di stenti, in montagna, i suoi compagni la trasportano di notte nel paese silenzioso e la depongono nella sua casa vuota, sul tappeto più bello, vestita con il costume da sposa che non potrà più indossare; l’autopsia sul cadavere la dichiarerà vergine, e Paska diventerà un personaggio di leggenda». Avrebbe potuto avere un futuro
assicurato ed una vita agiata, ma scelse invece di seguire un destino duro e incerto
volto ad eliminare i propri nemici. La tradizione orale la vuole vergine amazzone, selvaggia e fortissima, mentre invece nella realtà era una giovane donna dalla salute
cagionevole, stretta da una società le cui le leggi, benchè non scritte, dovevano essere rispettate. Moriva nel 1913 in latitanza. Tre storie, tre personaggi, accomunati da una scelta di vivere come ‘fuorilegge’. Condannate dal governo piemontese
o considerate partigiane dal popolo, a torto o a ragione, furono comunque donne
forti, indipendenti, tenaci nell’animo e nelle idee. Contraddistinte da quell’inconfondibile orgoglio e carattere fiero che appartiene alle donne sarde.